giovedì 27 dicembre 2018

LA CABALA SVELATA - remix



 LA CABALA SVELATA
Kitsch & Chic, Ketchup & Check-up
(remix)

Oggi voglio ricordare il mio quartogenito (c’è un quintogenito, un sestogenito ecc.), ormai un ‘bambino’ cresciutello (sei anni e mezzo): ario (indoeuropeo) nel sembiante, semitico nel cuore (o viceversa). Parlo del mio PNL e Kabbalah, ebook molto ‘particolare’, edito da Giacomo Bruno editore, un must per PNL e dintorni (qui, sotto il vestito, c’è un bel po’ di roba).
Dicevo, ario (occidentale, anche se la provenienza è dall’India degli Ari, poi Iran di Zarathustra, ora ridotto a ketchup e patatine – no, non tutto: c’è ancora molto caviale e champagne, anche qualche ostrica con perla) – come west-coast è la PNL; e semitico, come la Kabbalah. 
Un mix che può essere chic (e choc), come pure kitsch. Comunque, dal check-up, propendo per la prima ipotesi (chic/choc): un ottimo cocktail sceccherato, così dicono (io mi taccio). Si tratta, in ogni caso, che io sappia (smentitemi se potete, ne sarei comunque grato) del primo vero connubio tra PNL e Kabbalah dagli effetti pratici (e teorici – ‘profondi’) a oggi in circolazione, Will Parfitt permettendo (ma nel suo Cabbalah c’è più psicosintesi ed esoterismo – di cui, comunque, nel mio ci sono tracce anche vistose; non solo da CSI: c’è pure un bel po’ di ‘energia’ e spiritualità cristiana).
Comunque (e qualunquemente), ai posteri – anzi ai vostri ‘post’ – l’ardua sentenza. Di una cosa ho la certezza: specie in tempi come questi, la lettura dell'ebook vi aprirà nuovi orizzonti. Se non altro, il terzo occhio e il sesto senso. Salirete, nel migliore dei casi, al settimo cielo (nel peggiore, le occasioni propizie si presenteranno a pioggia...). In tutti i casi imparerete a salire e a scendere dall'Albero della Vita e a cogliere le sue sefire: scopo penultimo, accendere’ tutti i vostri centri vitali e ‘accedere’ allo stato che si desidera.
Scopo ultimo: liberare l’essenza.
A proposito di pioggia, prima di qualche ‘goccia’di da PNL e Kabbalah, per rinfrescarvi le mente e riscaldarvi il cuore, un po’ Gocce di Pioggia a Jericoacoara (il mio romanzo ‘premiato’).

Sintonizzati sulle stesse frequenze, Gaia e Lorenzo ebbero, contemporaneamente, la sensazione panica (nel senso bucolico) di essere un tutt’uno con l’erba, i fiori, i cespugli; con il vociare dei ragazzi e delle ragazze che percorrevano, proprio in quel magico istante, il sentiero sottostante. Col flautare della brezza settembrina, tutt’uno col battito del cuore della formica che dalla mano di lui era passata a quella di lei...
Il tempo, fino a quel momento acerbo, giunse a maturazione e stillò gocce di Kairòs: il tempo propizio pensò bene di fermare le lancette del Chronos, del tempo qualunque (e qualunquista).
Come può esserci Eros senza Imeros? Amore senza Desiderio? I due, ciascuno prima perso nel suo viaggio al termine della notte, si avvicinarono sempre più (la formica...), fino a sfiorarsi in più punti strategici. Un lieve, improvviso, fruscio d’aria increspò i capelli di lei, facendoli vibrare sul viso di lui. Furono uno: lo stesso misterioso montante desiderio, la stessa cruda sensualità che si offriva spontanea e naturale. Un’aspra dolcezza (l’ossimoro…) che fluiva sottopelle, come in rivoli sotterranei mai esplorati. Lo stupore e l’innocenza dei sensi. Complicità e confidenza tra i corpi e le menti (e il luogo). L’eros che si fa ethos.
Lorenzo e Gaia: il corpo di lei abbandonato accanto al suo, le vibrazioni del suo respiro che si accordavano armoniosamente con quelle delle sue membra. Una sinfonia di bassi, di acuti, di silenzi, che sembravano fatti della stessa organza dell’ambiente circostante. Magico, soprannaturale, ma vibrante di passione, di vita, carne e sangue...
Come può esserci Eros se non c’è Afrodite? Più che Laing poté Plutarco!
Forse che vi consiglio di uccidere i vostri sensi? Io vi consiglio l’innocenza dei sensi... Il tempo sempre sospeso, le sensazioni fisiche, epidermiche, tattili, cutanee, s’intrecciavano sempre più con le vibrazioni scaturenti dal profondo; non solo dell’anima, del midollo, dello spirito, ma sgorganti dalle profondità pelagiche del tempo, dei loro tempi... Nietzsche che flirtava con Plutarco.
Se c’è Eros senza Afrodite, è come un’ubriacatura senza vino, procurata da una bevanda fatta con fico o orzo, è uno sconvolgimento senza frutto e incompleto, che presto nausea e disgusta. In quel momento ‘celeste’ e in quella situazione ‘terra-terra’, impastato da sapienti mani, l’intreccio tra vita (vite), cultura (pane) e natura (pan) si fece realtà viva davanti ai suoi occhi stupefatti. Fluendo al di sotto della crosta epidermico-sensoriale ispessita dal tempo. Rotta dal ciceone offerto da Gaia (Circe? Demetra?) a Lorenzo (Ulisse? Proserpina, certo no...), ormai un iniziato ai misteri di Pugnochiuso, il luogo scelto per la visione suprema.
Sophia divina: una volta agitato, l’inciucio stava per raggrumarsi; il vino e l’orzo (con un po’ di miele e spezie) erano lì pronti a sortire il loro effetto su Lorenzo. Che, per la prima volta in vita sua, sentì l’akedia – l’accidia, il mal di vivere che spesso lo assaliva come il demone di mezzogiorno – lasciar definitivamente il posto a una ‘santa’ arroganza: nell’intreccio con Gaia, Lorenzo scoprì l’elogio della riuscita.
“La fiducia in se stessi è l’essenza dell’eroismo.” Superata, in quell’attimo di vita, l’antitesi tra spirito e sensi, trasfigurato e sublimato da questa speciale ebbrezza, libero dal passato e dal futuro, Lorenzo sentì di essere destinato al successo. Una nuova fiducia in sé, scaturita dalle sorgenti dell’essere, una forza pelasgica, un’‘emersoniana’ self-reliance in divenire (e per l’Avvenire), il tramonto di ogni passato, l’emergere di un nuovo Sé, un far sì che i morti seppelliscano i loro morti.
Il terribile era accaduto…
D’altronde: È dolce la stagione della raccolta, quando il guardiano è lontano. (Plutarco)

Ed eccoci a PNL e Kabbalah.      

Non ci posso credere: la Programmazione Neuro-Linguistica, la rockstar del momento, che presenta, come guest star del suo concerto, la Kabbalah, una diva d’altri tempi…

Strano, no? Per niente! Come ben sai, la PNL è in continua evoluzione, è un sistema aperto: fa parte del suo stesso DNA l’attitudine a introdurre nella propria “cassetta degli attrezzi” ogni strumento che possa essere utile per il cambiamento. E poi, come afferma Bandler, la PNL è soprattutto un’attitude, un atteggiamento, oserei dire una visione del mondo. E tale è, sia pure più in grande, la Kabbalah: l’antica sapienza è pronta a dare, qui e ora, sapore e forza alla giovane e scattante PNL!

La Programmazione Neuro-Linguistica è una disciplina eminentemente pratica: efficiente, efficace ed ecologica. In grado di “resettare” un individuo in breve tempo, se praticata con costanza, impegno e determinazione. La Kabbalah comporta, dal canto suo, un percorso più profondo e articolato. Qui, senza volerla per questo banalizzare o distorcere, estrarrò dal suo immenso bagaglio di conoscenza solo ciò che ti serve come applicazione pratica alla realtà quotidiana.

La Kabbalah, come ricorda lo psicoterapeuta Will Parfitt, è una guida all’esercizio della volontà, ma è anche un «cammino del cuore»: studiandola e applicandola, creerai sintonia tra l’emisfero sinistro e quello destro del cervello, darai spazio all’intuizione e all’immaginazione, alla correlazione tra i vari aspetti della tua personalità e alle corrispondenze tra te e gli altri. È, infatti, un cammino di trascendenza, come pure d’immanenza: illumina le zone d’ombra dei tuoi rapporti interpersonali e intrapersonali, dandoti gli strumenti per ottimizzarli.

Ma qui, ripeto, esaminerò solo gli aspetti pratici, quelli più immediati, in modo da aiutarti a passare dallo stato attuale allo stato desiderato, per centrare facilmente i tuoi obiettivi e ottenere peak performance.

Il tutto senza toccare i tuoi fondamenti: come la PNL, anche la Kabbalah rispetta i tuoi valori e le tue credenze. Si limita ad “aggiornare il tuo software” e cancellare “virus” e “file” inutili.

Se poi vuoi cambiare il tuo “hardware”, no problem: sia la PNL sia la Kabbalah in questo sono maestri. Ma questa è un’altra storia…

mercoledì 12 dicembre 2018

GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA. Lì dove batte il sole


GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA
Lì dove batte il sole

La baia danzante di una Pugnochiuso non ancora stile Bollywood, le spiagge infinite di Copacabana e Jericoacoara, la Manhattan ancora fumante da Diavolo veste Prada: tutte legate da un filo rosso che tiene uniti passione, avventura e mistero. Un nastro sottile che, a ogni istante, rischia di essere tranciato dal filo tagliente degli eventi, ma che poi, magicamente, continua a riavvolgersi nello spin del tempo: il 68 dell'immaginazione al potere e del “fou rire, gli anni 80 dell'Italia da bere, Nietzsche e Marx che parlano insieme al bar, Beyoncé, Rihanna, il Papa seduto al piano... Fino all'imprevedibile esito finale.
Nulla si fanno mancare Lorenzo, Gaia, Arianna, Tomàs, Julim, l'inquietante Galatea... Notte fonda a Jericoacoara, bagliori di luce nella Grande Mela: una galassia di particelle elementari filanti senza direzione e senso, staccatesi da quel magma incandescente che è la vita. Ma che poi, tra Taranto, Roma e Firenze, terza stella a destra”, cominciano a puntare dritte verso il traguardo.
(dalla quarta di copertina del mio Gocce di pioggia a Jericoacoara).

L’occasione di questa rivisitazione del mio romanzo tourbillon? La rilettura di un’intervista fattami all’epoca dell’uscita del mio romanzo (premiato, peraltro: vincitore del premio letterario “Emily Dickinson” 2013) – parlo di epoca perché, non tanto per il romanzo in sé, ma per quanto esso vuol trasmettere, penso che concetti (il sottotesto) e “confetti” (la scrittura, lo stile) del romanzo possano andare al di là della mera quotidianità. Bando alle ciance e vai con quest’ulteriore chance – in un’epoca che sembra amare il cambiamento, purché non cambi veramente (l’essenza delle cose).  

 

Tratto dall’intervista di Silvia Barbato (su Terza pagina – trimestrale di editoria e cultura – maggio 2011)

Nasce per istinto romanziere, anche se diverse circostanze lo portano lontano da questo genere e verso la saggistica. Nicola Perchiazzi svela la sua prima passione pubblicando con Sovera Gocce di pioggia a Jericoacoara, un romanzo completo e ricco sotto ogni angolazione lo possiamo analizzare. Ci stupisce nella cifra stilistica multistrato con stili e livelli in continua evoluzione, nel movimento e nello spostamento, sì geografico ma soprattutto interiore, diviso tra la crescita e la voglia di restare fanciulli legati al proprio presente; alle sintesi sensazionali che uniscono il panta, pur evidenziano le singolarità, a cominciare dai protagonisti.
Un romanzo che ispira voglia di sperimentare, di tentare e di evolversi in tutto e per tutto, sempre.

Questo è il suo primo romanzo. Cosa l'ha spinta a cambiare genere?
Non direi cambiamento, ma riaffermazione del genere ‘romanzo’. In effetti sono nato come romanziere, ma, pur credendoci molto, ho lasciato Gocce di pioggia a Jericoacoara nel cassetto per alcuni anni, cinque. Nondimeno, una scrittrice e pensatrice ‘borderline’, con cui ebbi un incontro/scontro sul web, avendo letto ampi stralci del romanzo ne fu così colpita che mi spinse a tenere sempre il ‘cassetto’ aperto…

Il Brasile è il protagonista della storia. Cosa la lega a questo paese?
Un legame antico, risalente agli anni ’70, ma legato più all’architettura che alle tradizioni o al folklore. Infatti, all’epoca, nell’ambito dei miei studi di ingegneria edile, m’innamorai della ‘scuola’ brasiliana, con il suo ‘stile’, per così dire ‘flessuoso’, armonico, sensuale, complice dei luoghi, della saudade e, insieme, alegria dei suoi abitanti. E poi la musica, sia nella versione ‘soave’ sia in quella jazz. E le sue spiagge, le sue baie, i suoni di quella lingua così intrigante.
Sì, come contraltare alla mia passione giovanile per l’India e, più ‘cinematografica’, per Bora Bora e spiagge cantando, quella per il ‘panciuto’ Brasile è da sempre una mia passione non tanto nascosta.

Quanto è importante per lei viaggiare?
Per dirla con Céline, riprendendo l’incipit del ‘settimo giorno’ del percorso di miglioramento peak performance del mio Prendi la PNL con Spirito!, potrei dire: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione (…) Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Sì, i miei sono, innanzitutto, viaggi interiori, anche se, alla Salgari, più realistici del re… Non viaggi per scavare nell’inconscio – non li ritengo (Freud mi perdoni) utili – ma esplorazioni nei ‘mari interni’ e nel ‘deserto’ (qui e là delle oasi, anche qualche foresta). In ogni caso, il viaggio è per me, sì il tragitto, ma soprattutto l’arrivo. E la sosta, ma sempre in movimento…
Tante esperienze e viaggi sono serviti a dare sostanza a quello che sono, in definitiva, i miei veri viaggi – ripeto, viaggi interiori che, un po’ per ‘vocazione’, un po’ per intralci vari, hanno, spesso di necessità virtù, frenato i miei viaggi ‘esteriori’. Ma ora mi sento obbligato – obligado – a toccare con mano Rio, Jericoacoara e New York. Noblesse oblige.

Le storie che si intrecciano vedono protagonisti un gruppo di ragazzi. C'è qualcosa di autobiografico, o è pura fantasia?
Hai detto ragazzi. Giusto, i due protagonisti, per quanto a cavallo dei cinquanta, sono ancora dei middlescents, dei bambulti, dei ‘bambini adulti’: pieni di sogni, di ideali, di idee… Dei forever young. Sì, questo mi ‘appartiene’. Come pure, anche se con un po’ di ‘glosse’ e ‘cancellazioni’, il periodo sessantottino e post.
Le vicende sentimentali, rouge & noir (ma anche il ‘colore’ ideologico), sono in parte vere, in parte romanzate. C’è il solito intreccio tra realtà e reality (sai, la ‘civiltà dello spettacolo’). Comunque, nel sostrato e nell’afflato ideologico, spirituale e filosofico, mi rispecchio in gran parte.

Qual è il messaggio che vuole che arrivi al suo pubblico attraverso il romanzo?
Il messaggio, come ben si intuisce, è ‘multilivello’.  Per dirla con quella ‘web friend’ (una che di scrittura ne capisce, anche se ideologicamente ‘scorrettissima’), il mio romanzo è: 
romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore … vorticoso nel suo ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un ‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie, dall'oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola e da funambolo della nuance.”
 
Quindi, tema di fondo, invogliare, specie i giovani, alla scrittura ‘creativa’, ossimorica, dai cambi continui di ‘registro, giochi linguistici e assonanze (sviluppano il ‘cervello destro’). E poi un ritorno ai grandi temi, al Pensiero Forte (anche quello Debole ha avuto le sue ragioni, di cuore): la ‘grande’ politica, la spiritualità, il mistero… Un nuovo Sessantotto in chiave rinascimentale e un po’ medievale, insomma. Ma aperto al Nuovo (che avanza – non gli avanzi di quello pseudo-nuovo che sembra ancora troneggiare sulle nostre tavole, mediatiche e familiari).
In definitiva, un tentativo di ‘nuove sintesi’. E una ‘visione’. E per questo l’ossimoro e l’eclettismo – ma in senso creativo e critico – la fanno da padroni nel romanzo. Che le ‘gocce di pioggia’ diventino un acquazzone…

Ha già in vista nuovi progetti editoriali?
È chiaro che l’appetito vien mangiando. Se prima pensavo di insistere nel filone ‘saggi’, ora è chiaro che la mia passione fou preme underskin perché scriva un altro romanzo. Ma questo senz’altro più slim del primo, molto in ciccia (ma balla bene…). E poi, un po’ di carne già coceva. Si tratta di aggiungere un po’ di contorni, frutta e molte, molte spezie. Ci sarà molto vissuto e molta fantasy, ideologia e humour, ma vorrei farlo ancor più magical mystery tour, sia pure più ‘porta a porta’. Mi sa che sarà, non dico un thriller, ma sempre un po’ noir. Penso a un ‘giallo’ filosofico-politico, un po’ alla Fight Club, diciamo. Un romanzo sneakers e tacchi a spillo…


martedì 13 novembre 2018

HEART – Il cuore oltre l’ostacolo


HEART
Il cuore oltre l’ostacolo
(cover)
Oggi, preso da studi di teologia e counseling biblico (sì, c’è anche quello, non solo il counseling filosofico), mi sono imbattuto in tre capiscuola cristiani del Pensiero Positivo: Robert Schuller, Norman Vincent Peale, Harry Emerson Fosdick. L’ultimo sinceramente non lo conoscevo, per cui, volendo approfondire, ho pescato nel web questo suo articolo, di cui vi propongo alcuni (s)tralci.
In mancanza di mie esternazioni – oggi sono al pit-stop – ve lo voglio riproporre (è una cover, in forma ridotta): nella sua semplicità è molto motivante. Chissà che qualcosa non si sblocchi – o si rimetta in moto, oppure acceleri – nella vostra vita (e soprattutto nella mia).

Uno psicologo mi disse una volta che quasi tutti i casi di discordanza emotiva con il proprio ambiente sono dovuti al fatto che gli uomini non vogliono accettare se stessi quali sono.
Si ribellano, cioè, contro le proprie limitazioni: vorrebbero essere qualcun altro.
Continuano a fantasticare su quello che farebbero se avessero la personalità e le occasioni favorevoli di un altro. E così, trascurando le proprie possibilità, non riescono a far nulla di buono con se stessi. Ebbene, chiunque può trovare motivi di scontentezza nella propria sorte. […] I successi più esemplari della storia sono venuti da persone che, affrontando angustie e ostacoli, li considerano come parte del cimento della vita e  si danno da fare
Una volta, mentre Ole Bull, un grande violinista norvegese, dava un concerto a Parigi, gli si spezzò la prima corda dello strumento; Ole Bull, senza perdersi d'animo, eseguì il pezzo su tre corde.
Questa è la vita: vedersi spezzare la prima corda e finire su tre corde.
Appena incominciamo ad adottare questa tecnica positiva per superare i nostri svantaggi, questi ci si presentano come occasioni che ci invitano sempre al cimento, e talvolta ci entusiasmano.
Ribellarsi contro le avversità, o compatire voi stessi e pensare di non avere la personalità adatta, non serve a nulla.
Bisogna avere l’audacia di considerarsi come un insieme di forze  in potenza e affrontare il cimento più interessante del mondo: sfruttare al massimo le proprie qualità migliori.           
In una battaglia contro i saraceni in Spagna, così racconta la storia, gli Scozzesi lanciarono oltre le loro file il cuore di Robert Bruce e poi combatterono con tutte le loro forze per riprenderlo.
È così che si deve fare. Prendete in pugno la vostra vita, lanciate avanti un ideale e una speranza e poi lottate per raggiungerli: ordinate la vostra vita in funzione di uno scopo.
Molta gente non riesce a diventare qualcuno perché considera la vita una cosa da trovare, invece di una cosa da creare. Ciò che si trova è soltanto l’esistenza, e il nostro vero compito è di ordinarla secondo i nostri progetti e i nostri scopi, così che diventi una vita.
[…] Spesso il migliore amico dell’ uomo non è l’agiatezza, bensì la sfida lanciata dall’ ambiente ostile.
Almeno tre fattori contribuiscono alla formazione d’una personalità di questo genere.

Il primo è l’immaginazione.                                         
Una grande vita comincia con l’immagine che qualcuno si forma, di ciò che vorrebbe fare o essere un giorno.
Florence Nightingale sognò di essere infermiera; Edison si immaginò inventore; tutti i personaggi come loro dominarono le circostanze, immaginando il loro avvenire in modo tanto vivido da procedere senz’altro in quella direzione.
Pensate a John Keats, il poeta inglese dell’Ottocento: orfano fin da bambino, oppresso dalla miseria, tormentato dalla crudeltà dei suoi critici letterari, deluso in amore, colpito dalla tubercolosi ed infine falciato dalla morte a 26 anni.
Nonostante tutte le sue disgrazie, la vita di Keats non fu sopraffatta dalle circostanze.
Dal giorno in cui, giovanissimo, gli capitò fra le mani una copia di The Faerie Queene di Spencer non dubitò più che anche lui era nato per essere poeta: tutta la sua vita fu guidata da un proposito imperioso che gli dette un posto durevole tra i grandi poeti. «Credo», disse una volta, «che dopo la mia morte avrò un posto fra i poeti inglesi».
Aveva fissa in mente questa immagine di sé, ed essa fu per lui quello che il cuore di Robert Bruce era stato per i guerrieri scozzesi.
Tenete abbastanza a lungo ferma un’immagine di voi stessi davanti agli occhi della mente, e sarete trascinati verso di essa.
Se vi figurate con chiarezza di essere sconfitto, basterà questo a rendere impossibile la vittoria. Figuratevi chiaramente di essere vincitori e ciò basterà per contribuire immensamente al vostro successo.
Non immaginatevi niente di voi, e andrete alla deriva come naufraghi.

Il secondo fattore è il buon senso.
Non serve a nulla che un quadrato s’immagini di essere un circolo.
Non serve a nulla fantasticare una improbabile vincita, per essere felici. Non serve a nulla pensare in termini di “Se…” (Se mi capita quella occasione…).
Molti brancolano pietosamente alla ricerca di incredibili occasioni, prima di scoprire la direzione giusta della loro vita. […] Usate il cervello nell’immaginarvi una meta. Ma, con o senza discernimento, scegliete una meta, non abbandonatevi alla deriva.

Terzo fattore: il coraggio.
Le vere personalità posseggono sempre quella fede che suscita il coraggio.
Sebbene la sua generazione fosse contro di lui, Riccardo Wagner ebbe fede nella propria musica, e soggiogò il mondo.
Dopo che per molti secoli si era creduto alla invincibile virulenza della febbre gialla, a Cuba un piccolo gruppo di medici confidò di poterla vincere e vi riuscì.
Charles Darwin lavorò 20 anni in un giardinetto inglese, riuscendo e fallendo, provando e riprovando, perché aveva fede di aver trovato uno spunto, e vinse. È potere creativo. È ispirazione più intrepidezza.
Immaginazione, buon senso e coraggio: anche un uso moderato di questi tre elementi darà notevoli risultati.
Shakespeare era figlio di un macellaio fallito e di una donna che non sapeva nemmeno scrivere il proprio nome.   
Beethoven era figlio di una tisica, figlia a sua volta d’una cuoca e di un ubriacone. Schubert era figlio di un contadino e di una donna che era stato a servizio.                      
Faraday, uno dei più grandi scienziati sperimentali di tutti i tempi, nacque in un’abitazione che era sopra una stalla: il padre, fabbro, era invalido; la madre donna di fatica
Fatti simili sono alla base di molte personalità di successo.
Se un uomo insegue innanzitutto la ricchezza, il mondo può sferzarlo; se cerca soprattutto il piacere il mondo può sconfiggerlo; ma se cerca soprattutto di sviluppare la sua personalità, può far tesoro di qualunque cosa gli possa infliggere la vita.
(Articolo di Harry Emerson Fosdick)           
http://www.psicologodinunzio.com/insoddisfatto-tua-personalita-tre-rimedi-per-potenziarla/