mercoledì 13 luglio 2016

HEART – Il cuore oltre l’ostacolo



HEART
              Il cuore oltre l’ostacolo     

Oggi, preso da studi di teologia e counseling biblico (sì, c’è anche quello, non solo il counseling filosofico), mi sono imbattuto in tre capiscuola cristiani del Pensiero Positivo: Robert Schuller, Norman Vincent Peale, Harry Emerson Fosdick. L’ultimo sinceramente non lo conoscevo, per cui, volendo approfondire, ho pescato nel web questo suo articolo: ve lo voglio riproporre sic et simpliciter.
In mancanza di mie esternazioni – oggi sono al pit-stop – ve lo voglio proporre: nella sua semplicità è molto motivante. Chissà che qualcosa non si sblocchi – o si rimetta in moto, oppure acceleri – nella vostra vita (e soprattutto nella mia).

Uno psicologo mi disse una volta che quasi tutti i casi di discordanza emotiva con il proprio ambiente sono dovuti al fatto che gli uomini non vogliono accettare se stessi quali sono.
Si ribellano, cioè, contro le proprie limitazioni: vorrebbero essere qualcun altro.
Continuano a fantasticare su quello che farebbero se avessero la personalità e le occasioni favorevoli di un altro. E così, trascurando le proprie possibilità, non riescono a far nulla di buono con se stessi.                                                                                                                   Ebbene, chiunque può trovare motivi di scontentezza nella propria sorte.
William Wilberforce non era contento di sé. Era un uomo di proporzioni minuscole. Boswell, il famoso biografo di Samuel Johnson, andò una volta a sentirlo parlare e disse poi: «Appena lo vidi mi parve un gamberetto montato in cattedra, ma mentre lo ascoltavo, crebbe tanto che alla fine il gamberetto era diventato una balena, stracolmo di personalità».
Quel nanerottolo di Wilberforce non godè mai buona salute. Per 20 anni, dietro prescrizioni del medico, per tenere insieme anima e corpo, prese dell’oppio, ed ebbe la forza d’animo di non aumentarne mai la dose.
Ma contribuì più di ogni altro Inglese a far cessare il traffico britannico degli schiavi.
Nell’Abbazia di Westminster, panteon delle glorie britanniche, soffermandoci davanti alla tomba di quel “Procuratore Generale degli abbandonati e dei reietti”, vediamo che quella vita sensibile e sofferente si tradusse in un amore incessante, invincibile per i diseredati, amore che un uomo robusto, in perfetta salute, non avrebbe mai sentito.
I successi più esemplari della storia sono venuti da persone che, affrontando angustie e ostacoli, li considerano come parte del cimento della vita e  si danno da fare
Una volta, mentre Ole Bull, un grande violinista norvegese, dava un concerto a Parigi, gli si spezzò la prima corda dello strumento; Ole Bull, senza perdersi d'animo, eseguì il pezzo su tre corde.
Questa è la vita: vedersi spezzare la prima corda e finire su tre corde.
Appena incominciamo ad adottare questa tecnica positiva per superare i nostri svantaggi, questi ci si presentano come occasioni che ci invitano sempre al cimento, e talvolta ci entusiasmano.
Ribellarsi contro le avversità, o compatire voi stessi e pensare di non avere la personalità adatta, non serve a nulla.
Bisogna avere l’audacia di considerarsi come un insieme di forze  in potenza e affrontare il cimento più interessante del mondo: sfruttare al massimo le proprie qualità migliori.           
In una battaglia contro i saraceni in Spagna, così racconta la storia, gli Scozzesi lanciarono oltre le loro file il cuore di Robert Bruce e poi combatterono con tutte le loro forze per riprenderlo.
È così che si deve fare. Prendete in pugno la vostra vita, lanciate avanti un ideale e una speranza e poi lottate per raggiungerli: ordinate la vostra vita in funzione di uno scopo.
Molta gente non riesce a diventare qualcuno perché considera la vita una cosa da trovare, invece di una cosa da creare. Ciò che si trova è soltanto l’esistenza, e il nostro vero compito è di ordinarla secondo i nostri progetti e i nostri scopi, così che diventi una vita.
Un mio amico emigrò negli Stati Uniti più di cinquant’anni fa. Il suo vecchio padre, che era uno scozzese, gli aveva detto che le sue capacità erano inferiori alla media. Il mio amico cominciò la sua vita in America come operaio di fonderia e prese alloggio sopra una bettola.
Tale fu la sua esistenza, alle origini. Ciò che ne risultò alla fine, tuttavia, fu una grande vita, perché divenne George A. Gordon, uno dei migliori dotti usciti dall’Università di Harvard.
Per oltre 40 anni il suo ministero alla Old South Church di Boston fu, per l’alto valore intellettuale e il vasto influsso spirituale, uno dei più notevoli negli annali delle chiese americane. La sua esistenza fu quella che trovò, la sua vita quella che creò.                  
Spesso il migliore amico dell’ uomo non è l’agiatezza, bensì la sfida lanciata dall’ ambiente ostile.
Almeno tre fattori contribuiscono alla formazione d’una personalità di questo genere.
Il primo è l’immaginazione.                                         
Una grande vita comincia con l’immagine che qualcuno si forma, di ciò che vorrebbe fare o essere un giorno.
Florence Nightingale sognò di essere infermiera; Edison si immaginò inventore; tutti i personaggi come loro dominarono le circostanze, immaginando il loro avvenire in modo tanto vivido da procedere senz’altro in quella direzione.
Pensate a John Keats, il poeta inglese dell’Ottocento: orfano fin da bambino, oppresso dalla miseria, tormentato dalla crudeltà dei suoi critici letterari, deluso in amore, colpito dalla tubercolosi ed infine falciato dalla morte a 26 anni.
Nonostante tutte le sue disgrazie, la vita di Keats non fu sopraffatta dalle circostanze.
Dal giorno in cui, giovanissimo, gli capitò fra le mani una copia di The Faerie Queene di Spencer non dubitò più che anche lui era nato per essere poeta: tutta la sua vita fu guidata da un proposito imperioso che gli dette un posto durevole tra i grandi poeti. «Credo», disse una volta, «che dopo la mia morte avrò un posto fra i poeti inglesi.»
Aveva fissa in mente questa immagine di sé, ed essa fu per lui quello che il cuore di Robert Bruce era stato per i guerrieri scozzesi.
Tenete abbastanza a lungo ferma un’immagine di voi stessi davanti agli occhi della mente, e sarete trascinati verso di essa.
Se vi figurate con chiarezza di essere sconfitto, basterà questo a rendere impossibile la vittoria. Figuratevi chiaramente di essere vincitori e ciò basterà per contribuire immensamente al vostro successo.
Non immaginatevi niente di voi, e andrete alla deriva come naufraghi.
Il secondo fattore è il buon senso.
Non serve a nulla che un quadrato s’immagini di essere un circolo.
Non serve a nulla fantasticare una improbabile vincita, per essere felici. Non serve a nulla pensare in termini di “Se…” (Se mi capita quella occasione…).
Molti brancolano pietosamente alla ricerca di incredibili occasioni, prima di scoprire la direzione giusta della loro vita.
James Whistler, il pittore americano, voleva diventare generale e fu dimesso dall’ Accademia Militare perché bocciato in chimica. «Se il silicio fosse stato un gas» disse « sarei diventato generale di brigata.»
Walter Scott voleva essere un poeta e si mise a scrivere romanzi solo quando Byron lo superò nel genere che aveva prescelto.
Usate il cervello nell’immaginarvi una meta. Ma, con o senza discernimento, scegliete una meta, non abbandonatevi alla deriva.
Terzo fattore: il coraggio.
Le vere personalità posseggono sempre quella fede che suscita il coraggio.
Sebbene la sua generazione fosse contro di lui, Riccardo Wagner ebbe fede nella propria musica, e soggiogò il mondo.
Dopo che per molti secoli si era creduto alla invincibile virulenza della febbre gialla, a Cuba un piccolo gruppo di medici confidò di poterla vincere e vi riuscì.
Charles Darwin lavorò 20 anni in un giardinetto inglese, riuscendo e fallendo, provando e riprovando, perché aveva fede di aver trovato uno spunto, e vinse. È potere creativo. È ispirazione più intrepidezza.
Immaginazione, buon senso e coraggio: anche un uso moderato di questi tre elementi darà notevoli risultati.
Shakespeare era figlio di un macellaio fallito e di una donna che non sapeva nemmeno scrivere il proprio nome.   
Beethoven era figlio di una tisica, figlia a sua volta d’una cuoca e di un ubriacone. Schubert era figlio di un contadino e di una donna che era stato a servizio.                      
Faraday, uno dei più grandi scienziati sperimentali di tutti i tempi, nacque in un’abitazione che era sopra una stalla: il padre, fabbro, era invalido; la madre donna di fatica
Fatti simili sono alla base di molte personalità di successo.
Se un uomo insegue innanzitutto la ricchezza, il mondo può sferzarlo; se cerca soprattutto il piacere il mondo può sconfiggerlo; ma se cerca soprattutto di sviluppare la sua personalità, può far tesoro di qualunque cosa gli possa infliggere la vita.
(Articolo di Harry Emerson Fosdick) 
http://www.psicologodinunzio.com/insoddisfatto-tua-personalita-tre-rimedi-per-potenziarla/