martedì 31 maggio 2016

VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE



VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE
Mare d’inverno

Se la psiche è l’anima, e l’anima è il mondo della nostra esperienza, essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa, o troppe varietà: la vogliamo ridotta a mera percezione e a immaginazione terrena ...niente sogni a colori. (Ronald Laing).
Dopo il diluvio, l’arcobaleno e i suoi tanti colori. E ancora la pioggia, altrimenti il deserto.
Il deserto cresce: guai a chi cela deserti dentro di sé.Friedrich Nietzsche).
Il mondo appare spesso troppo concreto e terra terra: è arrivato il momento (se non lo hai già vissuto) di farti bagnare dalla fantasia e dall’immaginazione. E dico scrosci, acquazzoni, non solo qualche goccia o un po’ di rugiada (che, comunque, lenisce l’anima).
La fantasia è un posto dove ci piove dentro. (Italo Calvino).
In & out. Dentro e fuori. Pioggia, lacrime, riso, sangue… Tutto esce sempre da se stessi: il sangue, le lacrime, le nuvole, la vita stessa. (Frida Kahlo).

Sì, la fantasia è un posto dove ci piove dentro. E fuori che troviamo? Molta pioggia. E molte fiamme. Corpi vivi. E corpi carbonizzati. Cervelli scalpitanti e cervelli lobotomizzati. Cuori pulsanti e cuori infranti ...e i senza cuore. Uomini, donne e amebe.
Non tutti i bipedi sono necessariamente esseri umani: basta guardare il telegiornale (e non solo)... 
Indovina se ti riesce: la balena non è un pesce, il pipistrello non è un uccello; e certa gente, chissà perché, pare umana e non lo è. (Gianni Rodari)
Eppure, in questa multiforme marea puoi trovare tante ostriche, perle, coralli, non solo cozze (vanno pure bene). Sì, anche in questo mare d’inverno (quello del nostro tempo) vale la pena rischiare. Le speranze del ’68, dei figli dei fiori, di Gioacchino da Fiore e della sua età aurea a venire (per non parlare di Gesù e del Regno di Dio, di cui parlava, e che mostrava nei fatti, tra il già e il non ancora): tutto questo ci fa ben sperare – nel senso di non perire – e ci dà il coraggio di esistere, e quindi, di rischiare (alla Tillich).
E quando si trova il coraggio di rischiare bisogna farlo con il cuore e la genuinità (e furbizia) dei bambini: e se vale la pena rischiare, io mi gioco anche l’ultimo frammento di cuore. (Ernesto Che Guevara).

La fede che rende possibile il coraggio della disperazione è l’accettazione del potere dell’essere, anche nella morsa del non-essere. Anche nella disperazione del significato l’essere si afferma per mezzo nostro. L’atto di accettare la mancanza di significato è in se stesso un atto significativo: è  un atto di fede.
[…]chi ha il coraggio di affermare il suo essere nonostante il fato e la colpa non elimina affatto il fato e la colpa: continua a essere minacciato e colpito; ma accetta la sua accettazione grazie al potere dell’essere in sé, al quale partecipa e che gli dà il coraggio di prendere su di sé le angosce del fato e della colpa. Lo stesso si può dire del dubbio e della mancanza di significato.
La fede che crea il coraggio di includerli non ha un contenuto speciale: è semplicemente fede, indiretta, assoluta. È indefinibile, poiché tutto ciò che è definito è dissolto dal dubbio e dalla mancanza di significato […]. Il coraggio di esistere ha le sue radici in quel Dio che appare quando Dio è scomparso nell’angoscia del dubbio.
(Paul Tillich)

Angoscia, dubbio, ricerca di significato… Ci fossero almeno, ma spesso c’è solo zucchero e melassa.
«[…] la moda dell’umanitario e della carità mediatica; l’accento costante su problemi sessuali, riproduttivi e sanitari […] la voga dell’ideologia vittimista; la moltiplicazione dei consulenti familiari; lo sviluppo del mercato delle emozioni e della pietà; la nuova concezione della giustizia che la rende non più mezzo per giudicare equamente, ma per risarcire il dolore delle vittime (onde «elaborino il lutto» e «si rifacciano una vita»); la moda ecologica e delle «medicine alternative»; la generalizzazione dei valori del mercato; la deificazione della coppia e dei suoi problemi; il gusto per la «trasparenza» e per il «mischiarsi», senza dimenticare i telefonini come surrogato del cordone ombelicale; infine la globalizzazione stessa, che tende a instaurare un mondo di flussi e riflussi, senza frontiere né punti di riferimento stabili, un mondo liquido e amniotico (la logica del Mare è anche quella della Madre) […] la medicalizzazione dell’esistenza, la deresponsabilizzazione dei genitori e le capacità di sorveglianza e controllo disciplinare dello Stato […] una società ritenuta sempre in debito verso gli individui, oscillante fra memoria e compassione […] lo Stato-Provvidenza, dedito alla lacrimosa gestione delle miserie sociali tramite chierici sanitari e securitari […] Stato materno e maternalista, igienista, distributore di messaggi di «sostegno» a una società coltivata in serra.»

Ammorbati dalla zuccherosità frou frou del ‘baby talking’ … flaccidi ed emozionati … tutti trilli e strilli per suscitare un sorrisetto al pargolo, tutti biribì e biribù e moine da eunuchi. Dalle cocò alla popò, dalla brum-brum al proscritto dei proscritti: il pum-pum…” (Anna K. Valerio), ognuno di noi (o almeno, molti) è come un naufrago avvinghiato a quell’Io che ancora non sa comprendere senza macchiarlo, ma che tuttavia intuisce essere la sua unica certezza: senza religione né fede né entusiasmo, fra una scienza che in sé stessa si sfascia e una filosofia esasperata in una formale, vuota sufficienza; assetato di libertà eppure irrigidito nel contrasto con una natura, una società e una cultura in cui ormai più non si riconosce.” (Carlo Michelstaedter).

Bene, ti è piaciuto questo viaggio al termine della notte?
E come per i viaggi in motocicletta di Che Guevara, il primo viaggio servì a fare domande. Il secondo a trovare risposte.
E tu, comincia a farti delle domande…