mercoledì 22 aprile 2015

SMARTÀ – TARANTO KULTUR



SMARTÀ – TARANTO KULTUR

Nel precedente post “Le cinque menti” ho re-iniziato un ulteriore percorso di auto-formazione, al fine di mettere insieme le tessere sparse in tutto il blog. Tuttavia, l’interesse per l’architettura, l’urbanistica e, meno scalpitante, per l’attualità, mi spinge a un primo pit-stop.
L’occasione mi è data da un fatto locale: la proposta di designazione della città di Taranto come Capitale italiana della Cultura 2016/2017.
Taranto, come è noto, da città dalle magnifiche sorti (e) progressive (dai tempi della Magna Grecia ai primi del ‘900) è regredita fino a quasi una morte progressiva. Eppure tanto di quel fuoco arde sotto la cenere (dell’ILVA).
Anche se gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Il documento seguente è un mio contributo alla “validazione” della proposta, ma, sotto la coltre (o se preferisci, le ceneri) c’è tutta una serie di ‘tessere’ che puoi utilizzare per comporre il tuo mosaico personale (anzi, più d’uno).

Taranto Capitale italiana della Cultura 2016 -2017
Considerazioni

“Se qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio gentile, che le muse riconduci ai lidi degli Dei: fra l’uva e l’uliva Eros ancora versa vino agile e resina…”
“Era alla gioia e non alla rassegnazione e alla tristezza che (…) puntava: una gioia disperata, un bisogno (…) di felicità da conquistare ad ogni costo.”
Ecco due “foto” di Taranto, la prima di Raffaele Carrieri, la seconda di Giacinto Spagnoletti: due voci eminenti della Taranto “emigrata” del secolo scorso.
“Non scelgo dove mettere un'emozione, scelgo a chi donarla.”
Questa è, invece, la grande Alda Merini, voce “immigrata”, senza tempo.
“Voglio donare a Taranto, ma nessuno risponde”, fa da contraltare Biagio Antonacci, voce del nostro tempo.
Luce, gioia, emozione, dono… versus rassegnazione, tristezza, disperazione.
Una visione contro la foschia: parole di speranza, sia pure con un fil di voce.
Bene, noi siamo pronti a dar voce alla “nuova” Taranto!

Ma qual è la Taranto che ci vogliamo scrollare di dosso? E qual è la Taranto che vogliamo?
“Era una vecchia città industriale e commerciale. È diventata un modello di ristrutturazione urbanistica “green” e sostenibile. Mescolando creatività, tecnologia e …”  
Ci fermiamo qui, il resto dobbiamo farlo noi: se nel reportage de L’Espresso “l’ecologia riparte da Bristol”, nella nostra “visione”, e “missione”, la Cultura riparte da Taranto.
Abbiamo anche noi, soprattutto noi, il “Waterfront” – il Lungomare, più d’uno… E poi, il porto, i porticcioli – più in potenza che in atto – la pesca, la miticultura e, soprattutto, la cultura tout court: superfluo citare i luoghi – ipogei e, se si vuole, “apogei” – che caratterizzano la città storica e la memoria urbana, tangibile e “intangibile”.
“Taranto antica capitale della Magna Grecia: un punto di partenza e non un semplice dato storico. Dovrebbe essere questa la logica capace di invertire la rotta, di produrre veramente una rivoluzione copernicana per la nostra città, puntando sull’esistente e valorizzando i tesori nascosti e dimenticati. In quest’ottica un plauso al “Comitato Taranto Capitale italiana della Cultura 2016 -2017”, coordinato da Claudio Leone.”
Parole sacrosante quelle di “Cronache Tarantine” del 18 aprile: sì, è questo il momento di invertire la rotta (siamo o no una città di mare?) e “formare” di nuovo la nostra città. D’altronde, “we shape our cities and thereafter they shape us” (noi diamo forma alle nostre città e queste danno forma a noi), ricordava Winston Churchill. Senza dimenticarci che Le coeur de une ville change plus vitement de le coeur de l’homme (Charles Baudelaire).

Sì, le città cambiano, non sono statiche, ma dinamiche, vive. Taranto è una città che deve rinascere sulle basi della memoria, ma con una “visione”, un progetto. Ecco lo “sfondo”:
visione (vision/mission) – obiettivi (goals) stato di fatto/avanzamento (progress report) – risultati (outcomes) – prospettive (outlooks).
Si potrebbe parlare, riguardo a Taranto-Cultura, di “SMARTÀ” – il riferimento, esplicito, è al suo Museo, il MARTA.
Forte enfasi sarà data al: coinvolgimento della comunità nelle fasi di concepimento e sviluppo del progetto, stimolando la costruzione del consenso tra i diversi gruppi d’interesse (stakeholders), la promozione della capacità di progettazione urbana delle associazioni; l’innalzamento della consapevolezza da parte dei cittadini delle problematiche legate allo sviluppo; l’aumento della fiducia in tutti coloro che saranno coinvolti nell’attività “rigenerativa”, come risultato dell’esperienza di lavoro di gruppo; la creazione di visioni condivise per il futuro della comunità e l’identificazione di strategie di breve e lungo periodo.
Come ricordano gli studiosi Taewoo Nam e Theresa A. Pardo, tre sono le componenti concettuali chiave di una Smart City: la tecnologia (infrastrutture hardware e software), le persone (la creatività, la diversità e l’istruzione), le istituzioni (governo e politica). Data la connessione fra questi fattori, una città è “intelligente” e “brillante” quando gli investimenti nel capitale umano e sociale e le infrastrutture dell’information technology crescono in maniera sostenibile e migliorano la qualità della vita attraverso un governo partecipativo.

Il concetto di Smart City, e Taranto deve diventare una Smart City della Cultura, è collegato alle nozioni di competitività globale, sostenibilità, responsabilizzazione e qualità della vita, con il supporto di tecnologie avanzate, scienze informatiche, neuroscienze, nano-scienze (mai più ILVA!) e scienza dell’informazione, per affrontare le sfide future della città, come l’energia, la salute, la sicurezza e il commercio.
Una città di start-up, laboratori culturali, artistici e artigianali, workshop, installazioni ed eventi. Il tutto finalizzato, in primis, a:
Arricchimento della qualità della vita.
Incentivo alla scoperta e crescita di talenti artistici.
Sprone all’”orgoglio” comunitario.
Aumento della fiducia nelle proprie qualità e crescita dell’autostima.
Promozione del benessere psicofisico.
Nuove occasioni di lavoro e di passatempo.
Miglioramento della qualità dell’ambiente.
In pratica, partendo dal patrimonio “acquisito”, una Arts Strategy”, con il coinvolgimento dei cittadini, specie dei più giovani, nelle svariate opzioni formativo-culturali elaborate e messe in atto dal “Piano della Cultura”, sia come “creativi” – in qualità di partecipanti attivi ai corsi di arte, alle start-up tecnologiche e alla “Kultur” in senso lato – sia come semplici spettatori o fruitori: in tal senso, si forniranno incentivi e nuove opportunità ai residenti, anche promuovendo esposizioni e mostre dei propri lavori.
Tutto ciò servirà a migliorare la qualità dell’ambiente naturale e costruito.
In definitiva, il programma Taranto-Cultura, o “SMARTÀ”, sarà caratterizzato dall’integrazione a scala di quartiere di interventi sulla “città fisica” e sulla “città sociale”. Attori pubblici e privati, organizzazioni di cittadini, membri dell’Amministrazione Comunale, collaboreranno per rigenerare, realmente e per via endogena, le aree urbane più degradate.
I “campi di battaglia” saranno: quello sociale, economico, politico. Il modello non sarà, quindi, riconducibile al tipico Top down, ma nemmeno a un puro Bottom up: l’idea è quella di un approccio ”misto”, dove il peso degli attori locali sarà davvero rilevante; allo stesso tempo, il Governo (locale, regionale, nazionale) potrà/dovrà tracciare le direttrici da seguire per il raggiungimento dell’obiettivo/obiettivi finale/i, fornendo gli impulsi affinché il meccanismo non si fermi.

Trattandosi di una ri-generazione, quindi di una nuova nascita, nei quartieri born-again, e nella città in generale, ci si dovrà muovere tra le diverse esperienze nascenti – o ri-nascenti –in cui, accanto alla riqualificazione fisica, saranno presenti aspetti culturali, sociali, economici e ambientali, sia provenienti dalla tradizione e dall’humus locale (genius loci) sia dallo “spirito del tempo” (zeit-geist), in un mix tra localizzazione e globalizzazione – per cui, in un certo senso, si potrà parlare di glocalizzazione.
La partecipazione della comunità, l’integrazione, la cooperazione, l’omeostasi, la sussidiarietà e la sinergia saranno i concetti chiave per una corretta gestione urbana orientata verso la sostenibilità e la durabilità di una Taranto “culturalmente-orientata”.
Questo concetto di rigenerazione urbana “culturalmente-orientata” è da intendersi come l’output di politiche e progetti integrati, all’interno dei quali la ricerca di una nuova qualità della vita e dell’abitare si coniugherà con l’attenzione rivolta agli aspetti economici e sociali che concorreranno alla ridefinizione di scenari e prospettive di più ampio respiro. Nel caso specifico di Taranto, l’aspetto che si cercherà di far emergere con maggior forza sarà, in particolare, la pluralità di significati con cui si confronterà la costruzione del nuovo paesaggio urbano, in cui gli spazi aperti si legheranno sempre più strettamente a quelli della residenza, del lavoro, del tempo libero, della circolazione, nell'intento di riqualificare gli insediamenti dal punto di vista formale e relazionale.
A ciò si aggiunge la particolare cura (nel senso di Heidegger – l’autenticità del senso dell’essere-nel-mondo) nella ricerca di empowerment (potenziamento sociale), con il coinvolgimento della comunità, lì dove per “comunità” intendiamo: un insieme di abitanti e operatori economici che vivono o lavorano abitualmente in una data porzione di città e che ne condividono un determinato spazio urbano.
Questo community-based planning, cui il “Progetto Cultura” farà da traino, vedrà la comunità locale come interlocutrice: la interpellerà, per instaurare un dialogo con gli abitanti dei quartieri da rigenerare, per affrontare i problemi comuni e favorire la partecipazione al processo decisionale.
La partecipazione potrà avvenire in diversi modi, a misura del grado di coinvolgimento effettivo: dai casi più semplici di consultazione, in cui i cittadini saranno chiamati a esprimere il loro punto di vista sul progetto predisposto dall’amministrazione, a esperienze più complesse di “progettazione partecipata”, in cui verrà riconosciuto ai cittadini il potere di entrare nel merito del progetto, discuterlo e negoziarlo con l’amministrazione, anche mediante dibattiti e valutazione da parte di un gruppo di “cittadini comuni” o di utenti di un servizio.

Tutte queste procedure di town-planning partecipato si rifanno alla pluridecennale esperienza dell’advocacy planning, una particolare forma di urbanistica con finalità sociali, che coinvolge i cittadini nei processi decisionali, assistendo i più deboli nella difesa dei propri quartieri, al fine di migliorare le loro condizioni di vita e la qualità ambientale in genere.
Due saranno i soggetti principali di riferimento: la comunità e le associazioni. La comunità, oggetto/soggetto dai contorni mutevoli e dai legami instabili, si pone come riferimento, in quanto incarna l’idea di “bene comune” e di “soggetto locale”: di qualcosa che è più vicino ai cittadini di un generico interesse pubblico dato in delega ad altri.
La comunità tutela gli esclusi e chi non è rappresentato, è il riferimento di un pluralismo più esteso e più rappresentativo. La comunità porta, inoltre, in sé l’idea di coesione sociale: è un patrimonio immateriale, riconosciuto come elemento fondamentale per una società sana, aperta, fiduciosa, solidale, capace di prosperità economica. Senza coesione sociale il prezzo da pagare è la disgregazione della città, la marginalità di ampie fasce di popolazione, l’indebolimento della fiducia reciproca necessaria per lo sviluppo economico.
Le associazioni, soprattutto quelle di tipo comunitario e del settore non-profit, sono a loro volta riconosciute come un fondamentale collante sociale. La loro inclusione nei processi decisionali e nelle politiche istituzionali è considerata fondamentale per l’attuazione di politiche di governance giuste ed efficaci.
Molti studi di settore affermano che le politiche e i piani di rigenerazione urbana che non prendano nella debita considerazione i soggetti destinatari e che non adottano processi partecipati rischiano di mancare i loro obiettivi (Dockerty, Goodland, Paddison).
L’urbanistica partecipata con le comunità, e il caso di Taranto potrebbe diventare un esempio paradigmatico, assume un rilievo strategico nei processi di rigenerazione urbana, in quanto assume in sé, metabolizzandole, per poi superarle, le politiche ristrette della gestione e della ricomposizione dei conflitti sociali e della protesta delle fasce emarginate e borderline.
A ciò si aggiunge, last but not least, il riconoscimento del valore della qualità architettonica e urbana: non solo dei “pieni”, delle “emergenze”, ma anche dei “vuoti”, degli spazi pubblici e delle aree verdi come elementi vitali e qualificanti della città.
Un’urbanistica che non sia solo autoreferenziale, o summa di pieni e vuoti, ma che sia dialogica e olistica: una scienza con coscienza…  
La coscienza del ruolo di Taranto come città “Capitale della Cultura”.          
                                                                                                                    
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
                                                                                                                                                                                           







lunedì 13 aprile 2015

COACHING & Co – Le cinque menti



 COACHING & Co

Le cinque menti

Pasqua is over (d’altronde, in inglese, richiamando il termine originario ebraico pesach, è chiamata passover: passare oltre, tralasciare, sorvolare, allo scopo di liberare).

Il concetto di liberazione – compreso quello di libera-azione – è ancor oggi attuale, ma non ce ne rendiamo granché conto: la liberazione che cerchiamo di ottenere altro non è che il sollievo dopo una grattatina sulla spalla, un mordi e fuggi, una fugace leccatina, un lecca lecca… un po’ di lacca su un vaso di creta crepato.  Al massimo, un po’ di Crêpes Suzette.

Suzy Q, I love you.

E vai con il “fattore Q”, l’indice di qualità della nostra vita: è, soprattutto (ma non solo), una questione di mente – ma di una mente che mente più del solito.

Che la mente menta spesso è pacifico, ma ora alle finzioni e al suo ‘dis-funzionamento’ si aggiunge la – mi si passi il termine – ‘sfinterizzazione’: per dirla con garbo, aria fritta.

“Il proposito che lo guidava non era impossibile, anche se certamente sovrannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo, con minuziosa completezza e imporlo nella realtà (…) Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che anche lui era un’apparenza, che un altro lo stava sognando.”

(da Le rovine circolari in Finzioni, di J. L. Borges)

Per cercare di recuperare il perduto, e soprattutto per collaborare al risveglio di tante menti che scalpitano e anelano a ben più alte cose (per aspera ad astra), inizio un piccolo corso di risveglio attingendo alla mia opera prima (Prendi la PNL con Spirito!).

Bene, partiamo (o forse, ripartiamo: tanti di quei segni e segnali li trovi disseminati nei vari post).

Il discorso sui diversi Io e sulle diverse subpersonalità (studiate da Assagioli e la ‘sua’ Psicosintesi), ci ricorda la teoria delle nostre numerosi ‘menti’. E non sto parlando delle “cinque menti per il futuro”, di Howard Gardner, secondo cui per ‘sopravvivere’ occorre essere rigorosi e creativi allo stesso tempo.

Infatti, bisognerebbe avere una mente disciplinata (che riceve i vari input, indirizzandoli poi in un campo ben specifico, che sarà quello in cui eccelle), sintetica (raccoglie ogni genere di informazioni, selezionandole e sintetizzandole in maniera originale), creativa (coltiva nuove idee, si pone domande inusuali, giungendo a esiti nuovi, anche del tutto inaspettati), rispettosa (accetta le differenze: è tollerante e collaborativa) ed etica (s’interessa dei bisogni e dei desiderata della società: è ‘ecologica’ e va oltre i propri interessi).

Torniamo alle “cinque menti”. In effetti, noi – come sostengono Minninger e Dugan – non possediamo un unico sistema mentale, ma cinque menti principali, che lavorano in équipe, in sintonia, ma più spesso litigano tra loro fino a boicottarsi…

La mente esecutiva (direttiva) sorveglia, coordina, giudica, dà ordini, insomma decide. È di supporto, educativa, talvolta arrogante…

La mente esplorativa esplora, scopre, impara, crea, deduce, intuisce, gioca… È la mente creativa, curiosa, spiritosa, irriverente…

La mente organizzativa analizza, selezione, organizza ed elabora le informazioni. È la mente razionale, un po’ troppo ‘standardizzata’ sulle regole.

La mente reattiva è sensibile alle emozioni: prova imbarazzo, collera, paura, amore, dolore, piacere… È la mente emotiva, solare e lunare insieme, anche molto terrestre…

La mente cognitiva percepisce suoni, odori, gusti, è ‘tattile’ e cinestesica: raccoglie i dati e li trasmette alle altre menti per la successiva elaborazione. È la mente mediatica.

C’è poi una sesta ‘mente’, che è sostanzialmente la parte funzionale, benché ‘silenziosa’ del sistema mentale: è per l’appunto la mente silenziosa. Essa controlla tutte funzioni corporali ed è sensibile alle sensazioni fisiche (dolore, piacere, tensioni…).

Infine c’è la memoria che è una ‘funzione’ delle cinque ‘menti’. È una sorta d’immenso archivio in cui sono registrate tutte le informazioni selezionate dalle cinque menti: un archivio cui si può accedere, ma che, se conserva in buono stato gli ‘originali’ di informazioni e ricordi, ce ne restituisce invece delle copie non sempre conformi all’originale, anzi spesso più o meno falsate o ‘monche’.

Da cosa ti accorgi che le tue cinque menti non sono allineate, in sintonia, sinergizzate? Dall’indecisione e da altri blocchi comportamentali, emotivi e cognitivi.

Per eliminare il ‘blocco’ devi portare a livello conscio le ‘conversazioni’ tra le varie menti: devi farle ‘dialogare’… Poi devi far sì che la parte esecutiva del sistema mentale dia un ordine appropriato per ristrutturare il ‘blocco’, cioè dargli un nuovo significato positivo. In pratica devi immedesimarti nel modo di pensare di ciascuna delle cinque menti (devi metterti “nei panni” – in the shoes – della parte ‘analitica’, di quella ‘esplorativa’, ‘emotiva’…) in modo da impostare un ‘dialogo’ (anche un ‘dibattito’) tra le stesse, delegando poi alla mente ‘esecutiva’ (quella ‘direttiva’) il compito di tirare le somme e indicare – anche in modo impositivo – le direttive che portino alla decisione finale.

By the way, ho parlato di ‘dialogo’ tra le ‘menti’. È interessante notare la corrispondenza di queste ultime con le cinque ‘categorie’ della “comunicazione verbale” di Carl Rogers (il fondatore della “terapia non-direttiva”, ossia la terapia centrata sul cliente):

del ‘giudizio’; questo è giusto, questo è sbagliato (mente esecutiva)

dell’’interpretazione’: stai parlando così perché intendi dire… (mente organizzativa)

del ‘sostegno’: mi sento in una situazione di… (mente reattiva)

della ‘prova’: dove è successo? Quando? (mente esplorativa)

della ‘comprensione’: capisco che… (mente cognitiva).


Esercizio (sblocco e reset mentale)

Hai un “blocco mentale” derivante da un conflitto tra le cinque menti? Quando parli in pubblico sei terrorizzato… sudi, balbetti, ti senti mancare…

Visualizza questa situazione disfunzionale, con tutte le submodalità ‘accese’:

senti le gocce di sudore che imperlano la fronte, i battiti del cuore accelerati, lo sguardo sfocato, i tremiti, la confusione mentale… Tutti che ti guardano insofferenti, infastiditi, in cagnesco…

Visualizza a una a una le tue menti: la cognitiva, l’esplorativa, l’organizzativa, l’esecutiva, la reattiva… anche la ‘silenziosa’ (la “sesta mente”, quella “fuori sacco”). Mettiti nei panni di ciascuna di esse, ragiona e parla come loro, esponi le ragioni di ogni ‘mente’, dibatti, prendi la parola, tira delle prime conclusioni…

Immagina il tuo “occhio mentale” che continua a girare sulle menti come su di una roulette… poi punta sulla… “mente silenziosa” (non è la ‘fortuna’ che ti ha indirizzato, ma la tua ‘esperienza’, la tua intuizione, il tuo “sesto senso”: tutte qualità che stai sviluppando in questo ‘cammino’ di “sette giorni”…).

Sì, dopo aver osservato dall’alto della “mente esecutiva” il dibattito, individui nella “mente silenziosa” la ‘colpevole’ del tuo ‘blocco’. Perché? Davanti a una situazione ‘imbarazzante’ – quale in questo il parlare in pubblico – segnalatele dalla “mente reattiva” (il ‘mandante’ del ‘sintomo’), la “mente silenziosa” (ossia quella, apparentemente ‘invisibile’, che controlla le funzioni corporali ed è sensibile alle sensazioni fisiche di dolore, piacere, tensione, stress…) ha stimolato una scarica di adrenalina come reazione alla situazione: la mente reattiva (sensibile alle emozioni – psicofisiche, mentali – derivanti dalle sensazioni – solo fisiche) ha ‘scelto’ di manifestare questa sensazione sotto forma di paura. Quindi, il ‘blocco’ deriva dalla ‘paura’ e questa fa capo in primis alla mente silenziosa (sensibile alle sensazioni fisiche) e, poi, alla mente reattiva (emozioni psicofisiche).

Riepilogando, davanti a una situazione di ‘disagio’ (più o meno grave), la mente silenziosa manda il segnale e la mente reattiva reagisce sotto forma di paura (ho scelto una ‘scansione’ tipica di causa-effetto, ma ci possono essere delle varianti). La situazione è, ovviamente, disfunzionale: devi ristrutturare il processo.

Fa’ rigirare di nuovo il tuo occhio mentale e la ‘pallina’ si ferma su… mente esecutiva (il ‘dirigente’, il boss, dell’azienda mentale).

La mente esecutiva ordina alla mente reattiva (suo subordinato) di far sentire l’emozione (che in sé ingloba la ‘sensazione’ trasmessa dalla mente silenziosa), non più come ‘paura’, ma come entusiasmo ed energia… La mente reattiva obbedisce: la scarica di adrenalina stimolata dalla mente silenziosa verrà ‘letta’ come entusiasmo ed energia. Ora sei pronto a parlare in pubblico: sei il re del public speaking!

Prova a far questo per qualsiasi ‘blocco’: sei indeciso sul da farsi, non sai come scegliere, hai paura di sbagliare?

Mettiti nella condizione precedente, rifai tutto il percorso sostituendo alla paura di parlare in pubblico qualsiasi altra paura (anche la paura di parlare a te stesso…), individuando quale parte della mente (o quale delle cinque, e più, ‘menti’) sia la prima o maggior responsabile del problema e ‘decidendo’ su quale occorra agire per cambiare la ‘tonalità’ o il ‘colore’ dell’emozione e, quindi, convertire (ristrutturare, resettare, ri-decidere) la sensazione o l’emozione da ‘negativa’ in ‘positiva’.

Tutto ciò grazie alle direttive della mente direttiva/esecutiva che stai sempre più potenziando in questi ‘giorni’ (naturalmente, stai anche facendo sempre più “uscire allo scoperto” le altre menti, specie quella esplorativa e quella cognitiva).

Una volta acquisito il metodo – valido  per ogni circostanza disfunzionale da resettare – si tratterà di individuare volta per volta la mente ‘colpevole’ e quella che dovrà risolvere il problema (in genere la mente esecutiva, eventualmente supportata da un’altra mente, per esempio quella cognitiva). In ogni caso rinvio a Fate lavorare la mente di Minninger e Dugan, da cui ho tratto (da me ‘colorato’) l’esercizio.