sabato 6 luglio 2013

EUREKA



EUREKA!

Eyeliner

Ci incontriamo agli angoli delle strade. Poi saliamo nelle stanze e chiudiamo le finestre. Spegniamo le luci e accendiamo le nostre passioni. Col forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo i nostri corpi. Stiamo in silenzio. Nessuno sforzo. Notti di marzo…
Ci incontriamo negli autogrill. Poi ripartiamo e torniamo nelle nostre alcove. Scendiamo solo per accendere l’aurora. Circonfusi dei suoi raggi, ci incontriamo al buio di case ignote alla città – centrali, periferiche, ma sempre lontane dal cicaleccio urbano. Gridiamo. Con strazio.  
Albe di marzo…
I luoghi che attraversiamo, che ingoiamo, sono sempre più reali, nella loro cupa irrealtà quotidiana. Luoghi dell’anima in città senz’anima. Spazi muti tra suoni vuoti, angoli dello spirito in cucine del ventre. Lì pasteggiamo a pane e champagne. Bisbigliamo. Nessuno sfarzo.  
Mezzogiorni di marzo…
Apriamo le finestre alla luna, le chiudiamo al sole, ma cerchiamo la luce. A volte piangiamo, a volte ridiamo, a volte danziamo, ma la sapienza è sempre la nostra compagna. E da camerata spavalda ci dà gran pacche sulle spalle e buffetti sulle guance. Combattiamo. Senza ambasce. Sciamiamo. Senza angoscia. Filiamo la tela. Facciamo follie. Andiamo a folle.  
Giorno e Notte.

Ma siamo a luglio, dirai…
Certo, ma la mia esercitazione letteraria, oltre a essere un esercizio di scrittura, descrive l’andirivieni quotidiano in una città qualsiasi, in una stagione qualsiasi.
In ogni caso, andiamo a folle…
Sempre più raramente facciamo follie (non ne abbiamo più la voglia: il Sessantotto è morto e sepolto …almeno per il momento).
Siamo una folla, una massa indistinta di individui: ognuno cerca di svettare, allungando il proprio tacco a spillo (anche gli uomini).

In ogni caso nel brano precedente ritrovi:
la solitudine e l’autismo esistenziale dei condomini (ma anche delle villette: saliamo nelle stanze e chiudiamo le finestre).
La felicità dell’essere soli o in due: spegniamo le luci e accendiamo le nostre passioni.
L’anonimia delle città odierne, ma anche la libertà di essere quel che si vuole: Luoghi dell’anima in città senz’anima. Spazi muti tra suoni vuoti, angoli dello spirito in cucine del ventre…
Apriamo le finestre alla luna, le chiudiamo al sole, ma cerchiamo la luce. A volte piangiamo, a volte ridiamo, a volte danziamo, ma la sapienza è sempre la nostra compagna.
Eppure, in ciascuno di noi c’è il pollo che sa di essere aquila.
A tal proposito, niente di meglio di questo bellissimo brano tratto da Le stanze di Gaia, un blog da cui, specie qualche anno fa, ho tratto delle perle.

“Via le scarpe basse, via le orride ballerine, via gli stivali rasoterra. Da oggi solo altezze aeree. Da oggi si sale su, ci si slancia e si ondeggia e si affonda di più sul cemento. Ché anche la musica la segui meglio e i capelli scivolano ondosi e la gonna trova quel perfetto punto della gamba in cui fermarsi e i tendini sparano in su e senti che potresti, davvero, arrivare dovunque, e tutti lo noterebbero, che arrivi. Le ginocchia così meravigliosamente elastiche. E la caviglia, sì, bellissima riflessa nello specchio del negozio sotto casa, fra il nero e la luce del sole e dell’ombra.”  
E ancora:
“Voglio saper tenere un bicchiere in mano in un certo modo. Avere linee del corpo allungate e nervose. Essere capace di deformarmi in un sorriso sghembo. Indossare solo sottovesti nere. Oppure fumare, inarcandomi lievemente di lato. Frequentare locali dove tipi in cravatte strane si appendono a sigari o tastiere di pianoforte. Voglio occhi bistrati di nero, unghie lunghissime e spalline che scivolano giù. Vite di meravigliosa autodistruzione o superficiale sciocca solitudine. Notti garrule e mattini disperanti, in qualche motel sperduto d’America. Oppure ovunque.”

Qual è il senso di queste parole in libertà (ma con un senso da decifrare e confrontare con la propria vita): la parola, letta, recitata o solo pensata, è un’ancora o un’oasi in queste vite di meravigliosa autodistruzione o superficiale sciocca solitudine.    
La parola è un eyleliner per gli occhi della vita: dà luce allo sguardo…
D’altronde, sa sedurre la carne la parola, prepara il gesto, produce destini. E poi, nessun vascello c’è che come un libro possa portarci in contrade lontane.
Specie in tempi come questi in cui Gli dèi hanno abbandonato l’uomo ed il mondo ha perduto il suo incanto.
Io credo, e questo blog lo proclama che chi non mira le stelle si perde nella storia.

Perdersi, smarrirsi. Ci sono momenti del mio lavoro in cui questo è necessario, vitale. Perdere le certezze, abbandonare le abitudini, rischiare.
In questi tempi in cui molti, al di là delle inutili corse da un posto all’altro per cercare di ritrovare un senso e un centro di gravità esistenziale, ecco che all’improvviso c’è un lampo, un Eureka.
Sono solo; la maggior parte delle persone son rientrate a casa, e leggono il giornale della sera ascoltando la radio. La domenica che finisce ha lasciato loro un sapore di cenere e già il loro pensiero si volge verso il lunedì. Ma per me non c’è lunedì né domenica, ma soltanto giorni che si sospingono in disordine, e poi, d’un tratto, dei lampi, come questo.
Occorre, quindi, pur rimanendo a terra, pensare in grande. E poi, sempre più, non solo agire in piccolo, ma re-agire (in attesa del ruggire).

Devi creare delle belle sensazioni e renderle intense e creare delle sensazioni motivanti e renderle intense. Devi farti immagini grandi, grandissime, non delle stupide immaginette minuscole e indistinte. Quelle non sono buone basi di una vita motivata, e con delle buone basi puoi vivere una vita davvero forte.

In definitiva, vi sono improvvisi imprevedibili lampi di eternità o dell’infinito che giungono a noi quando meno ce li aspettiamo.
Di questo parlerò la prossima volta (non vi preoccupate, sono tornato in me, non vi farò stare sulla corda: i post saranno sempre più frequenti). Per il momento, per mantenervi in allenamento, e fare magari degli incontri con uomini (e donne) straordinari, vi invito a individuare gli autori delle citazioni (quelle in corsivo arancione).
Oppure… no: è sufficiente il suono e il senso della parola.