lunedì 16 marzo 2009

KISS KISS BANG BANG. LADY BUTTERFLY & THE GOGO GIRLS...

IL SAPERE È UNA FARFALLA NOTTURNA


È possibile uscire dall’impasse esistenziale lavorando solo sulla mente?

Sì, se si considera l’uomo come un olismo triadico, cioè un’unità organica corpo-anima-spirito.

E già sapere questo è un buon punto di partenza:

il sapere è una farfalla notturna.

Per fare questo, ossia ‘intuire’ (ci vuole il ‘terzo occhio’) la ‘gerarchia’ spirito-anima-corpo (dal ‘superiore’ – ma solo per ‘potenza’ – all’inferiore), occorre attivare l'attenzione e metterci l’intenzione.

Ciò permette di captare l’energia e carpire l’informazione e di ‘situarsi’ di volta in volta in uno di quei ‘nodi’ della trama energetica del cosmo in cui è possibile vivere al meglio il ‘momento’ (anche momentum, nel senso di ‘quantum’ energetico), approfittando così delle ‘contingenze’ che il kairòs l’attimo propizio – offre al ‘fortunato’ (ma la fortuna aiuta gli audaci – o per dirla col Vangelo: i violenti s'impadroniscono con forza del regno dei cieli…).

Al di là dell’apparente cripticità, quanto detto sottende (che è più di ‘sottintende’) alcuni concetti essenziali, propedeutici a ogni cammino di psico-attivazione atto al miglioramento delle prestazioni in ogni campo esistenziale (sarebbe meglio chiamarla ilio-psico-pneumo-attivazione – lì dove il primo aggettivo si riferisce al corpo, il terzo allo spirito – ma forse pretendo troppo…).

Energia e informazione sono essenziali per la ‘vita’ dell’universo (e quindi, dell’uomo): come ormai è arcinoto, tutto è alla fin fine energia (la materia è energia ‘frenata’). E in tutto l’universo c’è sovrabbondanza di energia, che non aspetta altro che di essere attinta…

Se si è attenti, se si ha l’intenzione, si attirereranno ‘cascate’ di energia…

Coltivare l’attenzione significa ‘allontanare’ l’aspettativa del domani, l’attesa di un qualcosa che deve accadere e che forse non accadrà mai (e parlo non solo di attese positive, ma di paure, ansie, angosce…).

La ‘lampada al piede’ che fa luce sul cammino è l’attenzione cosciente (oltre alla Bibbia – ho trasposto in altro contesto le sue parole autoreferenziali), ossia l’essere completamente presente in ogni singolo momento. Occorre farsi ‘coinvolgere’ dal ‘momento’, ovunque uno sia – seduto, a passeggio, in macchina –, senza badare però alle sensazioni che si provano in quello stesso momento (piacere, fastidio, noia). In sintesi: consapevolezza senza giudizio.

Quindi, ripeto, due sono, in particolare, gli agenti favorevoli per ‘energizzarsi’: l’attenzione e l’intenzione.

Con l’attenzione si attira e s'infonde energia.

Con l’intenzione si ‘orienta’ l’energia e si favorisce il cambiamento.

Nel Libro di Giobbe c’è scritto: “Non appena temo un male, esso mi colpisce e quello che mi spaventa mi piomba addosso.” È la naturale, cosmica, legge d’attrazione, nel bene e nel male.

Intenzione e attenzione favoriranno quella concatenazione di eventi che coinvolgerà il mondo fisico e quello ‘spirituale’ in modo tale da permettere la realizzazione del risultato desiderato.

Tutto questo perché (e qui entrano in gioco anche le strategie della PNL che vedremo in seguito, specie nella sua accezione ‘spirituale’: a proposito sto terminando un libro sull’argomento) l’uomo ‘attento’ si è disconnesso dai suoi automatismi psicofisici, che gli erano sino ad allora abituali, e ha preso (mediante la sua ‘essenza’ – il suo Sé spirituale) il comando del suo ‘modus operandi’: in definitiva, ha gettato via la maschera.

Per alleggerire la tensione… un ‘tralcio’ dall’Isola del Tonal, di Carlos Castaneda e uno stralcio dal mio Gocce di Pioggia a Jericoacoara. Due farfalle notturne, diciamo


Aspettavo la sua risposta, quando in me qualcosa si spense. Mi sentivo come se fossi sospeso. Mi sembrò che dinanzi ai miei occhi fosse stato rimosso un ostacolo, e una miriade di rumori divennero udibili nel chaparral. Ce n’erano tanti che non riuscivo a distinguerli singolarmente.
Ebbi l’impressione di stare per addormentarmi, quando d’improvviso qualcosa attirò la mia attenzione. Non era qualcosa che riguardasse il processo del pensare; non era una visione, né
un aspetto di ciò che mi circondava, e tuttavia la mia consapevolezza era stata toccata da qualcosa…
Qualcosa mi stava tirando nel chaparral. Riuscivo a distinguere davanti a me la massa buia dei cespugli. Non era però un’oscurità indifferenziata, come sarebbe stata normalmente.
Potevo vedere ogni singolo cespuglio, come se stessi guardandoli in un oscuro crepuscolo.
Sembravano spingersi verso di me; la massa del fogliame appariva come un lembo nero flottante verso di me, come se fosse spinta dal vento, ma non c’era vento…

Cominciai ad essere assorto nei suoi movimenti ipnotizzanti; c’era un’ondulazione pulsante che pareva spingere il fogliame sempre più vicino a me. Notai poi una sagoma più chiara che pareva sovrapposta alle forme scure dei cespugli.

Misi a fuoco gli occhi su un punto a lato della sagoma più chiara e potei scorgervi un’incandescenza verde pallida. Poi la guardai senza metterla a fuoco ed ebbi la certezza che la sagoma più chiara era un uomo nascosto nel sottobosco…

…Alla fine chiesi: ”Che cos’è successo là fuori, don Juan?”

“Avevate un appuntamento con il sapere”, disse, facendo un cenno col mento verso l’orlo oscuro del chaparral desertico.“ Vi ho portato là, perché prima avevo colto un indizio del “Sapere” che andava in cerca di prede vicino alla casa. Potete dire che il Sapere sapeva che sareste venuto e vi aspettava. Anziché incontrarlo qui, ho ritenuto meglio incontrarlo in un luogo di “potere”. Poi vi ho sottoposto a una prova per vedere se avevate sufficiente potere personale per isolarlo dal resto delle cose attorno a voi. Vi siete comportato bene.”
“Un momento!” protestai.“ Ho visto la sagoma di un uomo nascosto dietro un cespuglio, e poi ho visto un uccello enorme.”

“Non avete visto un uomo!” disse con forza.

“E neppure avete visto un uccello. La sagoma fra i cespugli e ciò che è volato verso di noi era una farfalla notturna. Se volete esprimervi in modo preciso secondo gli stregoni, ma in modo molto ridicolo secondo il vostro linguaggio, potete dire che stanotte avevate un appuntamento con una farfalla notturna:

IL SAPERE È UNA FARFALLA NOTTURNA


«Sì, hai detto bene, il coaching è un ‘processo’ diverso da quello psicanalitico. Richiede un profondo insight della situazione esistenziale e vuol portare un cambiamento di segno: meno confusione, più certezze. Dal meno al più. Dal diviso al moltiplicato. Sai, ho letto l’altro giorno sulla fiancata di un pullman – un coach da turismo, per riagganciarci a noi… – insight vacations, vacanze introspettive. E questo è il coaching: un viaggio nelle interiorità, guidato da un autista e con una meta ben precisa. E poi il viaggio dura relativamente poco. Altro che il trekking senza fine della psicanalisi. Che non porta poi, in realtà, a nulla. Il mondo (fuori e dentro te) rimane lo stesso. E se lo dice Hillmann… Invece, col coaching, se l’autista sa il fatto suo, una volta arrivati a destinazione il paesaggio cambia, e anche tu. Il coaching ti dà quel sostegno emotivo e pratico di cui hai bisogno nei momenti delle decisioni difficili. Amplia gli orizzonti, aiuta a sviluppare una sana immagine di sé, a scoprire la potenza, magica, della parola e del pensiero, ad abbandonare il retaggio del passato, a trovare forza nelle avversità. Ti fa scegliere di essere felice. Ti libera dal sempre riaffiorante dolore delle emozioni irrisolte, delle frustrazioni uncinanti e laceranti, dalle tensioni e pressioni, dalle inibizioni, depressioni, dai blocchi e attriti limitanti o frenanti. Al loro posto: scopo, mission, vision, valori... E ancora: incoraggiamento, focus e impegno, planning e goal-setting, self discovery e co-creation. Ti piacciono questi termini? Ma non sono solo parole. C’è sostanza. Carne e sangue.»

Lorenzo non aspettava che il ‘la’ per continuare. Non gli era bastato il ‘sol’…

«La psicoanalisi, per sua stessa natura, non può essere una Naturwissenschaft (l’ex ‘ariano’ aveva sempre nella faretra la frecciata teutonica), cioè una scienza naturale, come la fisica e la matematica, anche se ha la pretesa di esserlo. È sì un lavoro, un arbeit, ma non rende frei, liberi. Piuttosto, si configura come una Spurenwissenshaft – una ‘scienza delle tracce' –, per dirla alla Vegetti Finzi, ma anche, in senso lato, come una Geisteswissenschaft. Diciamo, una disciplina umanistica, di tipo ‘intuitivo’, quasi ‘spirituale’. Ma a livello di intuizione personale, non certo in termini di leggi generali. Più che altro, ‘fatti’, non ‘premesse’. Promesse, non sempre mantenute. Parole al vento. E se c’è la tramontana… In definitiva, singoli casi individuali, quelli che si sono evoluti in senso positivo, da cui trarre conclusioni generalizzate. Questa la psicanalisi. Ma di qui a parlare di scienza…»

Il sole picchiava forte e Galatea ne approfittò per mettersi pancia a terra. Il top slacciato (ne avrebbe fatto volentieri a meno – e poteva permetterselo – ma il galateo…) rivelò un’abbronzatura uniforme. Il nero non aveva lasciato nessuno yin (o yang, secondo i punti di vista) di bianco.

«Sei un po’ cattivo. Ma io sono peggio… Non sono psicologa né psichiatra, per cui non mi arrogo il diritto di pontificare, ma per fare coaching ho fatto i miei studi: le varie correnti, fino ai mari esotici – la psicosintesi (ma era di un italiano), i vari mix esoterici alla Gurdjeff e Slavinski, la PNL ma anche Freud. Fino agli abissi…» (naturalmente Galatea non si era ancora troppo sbilanciata su certi altre sue profondità, Behemot e Leviathan. Soprattutto, Rahab.)

«Anch’io – subentrò Lorenzo –, perché, dopo i miei primi approcci alla filosofia, dal ’68 in poi, un po’ per motivazioni socio-politiche, un po’ perché ne trovava a bizzeffe di termini filosofici leggendo di architettura, specie negli ultimi anni mi sono interessato alla teologia e, per motivi contigui, agli studi sull’uomo, e non solo su Dio. Per questo la psicologia – cui alcuni riconoscono, specie nella psicanalisi, una radice ‘calvinista’ (ma dietro c’è pure Paolo) – mi piace: non solo Jung e Assagioli, ma lo stesso Freud. Ovviamente, Hillmann e, non ti sembri strano o modaiolo, pure Morelli… Certo, ne discuto, uso il bisturi. Per questo ti dico che la psicanalisi classica usa un po’ troppo il principio “post hoc, ergo propter hoc”, cioè riconduce spesso tutto a un mero condizionamento pavloviano, a un fascio di riflessi condizionati.. Ma non sempre è così. E poi basta con questa psicologia-bignami sulla bocca di tutti: complesso di Edipo, subconscio, fase anale… Tutto ridotto a cacca da chi a stento riesce ad articolare un semplice concetto. Merde d’artiste. Chissà perché si ritengono tutti psicologi e teologi, senza avere nemmeno la ‘licenza elementare’ in queste discipline. E senza essere nemmeno artisti, non dico Manzoni (Piero, ma anche Giacomo. Lasciamo in pace Alessandro…). Basti pensare che se da noi l’uno percento riesce a ottenere la sufficienza in ‘religione’ è già assai!»

Galatea mimò un segno della croce (ma lo fece al contrario) mentre Lorenzo, a braccia conserte, continuava imperterrito (glissando sul sacrilegio – forse non se n’era accorto).

«Comunque, bando alle ciance, fammi fare l’intellettuale: “… l’uomo non comincia e finisce in se stesso, ma va oltre le proprie condizioni corporee e spazio temporali per poter congiungersi con la potenza e la libertà dell’infinita potestas.Che vor dì…? Che l’uomo vuole volare! Tornando a bomba (e dopo Evola – quello ‘impiedi tra le rovine’ – va proprio a fagiolo), ossia restando nell’ambito del coaching, ciò che più mi ‘attizza’ è il suo ‘lato’ cristiano, quello che aiuta a ‘liberare’ psicologicamente il credente. Come sai, e te l’ho appena ricordato – ma so che sei di buona memoria… –, sono eclettico: mi occupo di architettura e, sempre più, di psicologia, filosofia e teologia. M’interessa la mente (per il momento salto sui corpi…). Contrariamente a quello che si pensa, è più facile la ‘rigenerazione’ spirituale di quella ‘psichica’ (per non parlare di quella fisica). Ma per fare questo occorre squarciare il ‘velo’, diciamo ‘sverginare’, deflorare, impollinare la realtà. Solo così puoi entrare nell’’utero’ dell’universo. E farti inseminare (il contrario di quello che avviene nel mondo fisico). Ma doce, doce, con poesia…



venerdì 6 marzo 2009

LADY GAGA. Gags à gogo

A cuccia coach!

Quando l’allievo è pronto… il maestro appare.

Ma anche: quando vedi il maestro… uccidilo!

Puoi anche aver studiato tutto quello che vuoi, ma se non c’è il maestro’ (il coach ) che ti ‘spiega’, che ti ‘illumina’, che porta la luce nelle tue ‘stanze segrete’, piene di tesori, che tu non hai mai esplorato (il fondo dell’anima, il tuo spirito, la tua essenza), allora il tuo cammino sarà solo un triste vagabondaggio. E sei alle porte di Gerusalemme!

Ma una volta che il maestro ha estratto dalla tua 'ostrica’ (ma anche dalla tua ‘cozza’…) la ‘perla’ nascosta, allora, nel momento in cui tu lo riconoscerai, il maestro scomparirà dalla tua vista.

Devi continuare da solo il tuo percorso! È quel che insegna anche la PNL, e prima di ‘lei’ ogni vero insegnamento Tradizionale e spirituale (non ultimo il cristianesimo primitivo, quello dei mistici di ogni tempo, quello degli ‘illuminati’ – non ‘massonici’… – cristiani, e non solo: basti pensare ai sufi).

Per farti comprendere bene il messaggio ti do due perle, la prima tratta (forse rielaborata: la cito a memoria) da un vangelo apocrifo, la seconda un mix di due miei brevi studi biblici sul racconto dei "discepoli sulla via di Emmaus" (Lc 24,13-35).


È un pomeriggio primaverile. Gesù, un Cristo quanto mai umano, casual, in libera uscita, bighellona tra alberi e arbusti, canticchiando, scherzando, ridendo… Gesù aspira, ‘vive’ gli aromi del bosco, s’immerge nei suoi suoni, sottili, sincopati, vibranti… Sfiora gli alberi, sembra voglia abbracciarli… ma ecco che – sembra quasi una radiocronaca – passa vicino alla carcassa putrefatta di un cane (e i discepoli che sono con lui si sbracciano disperatamente, in ogni modo, per distrarlo e tenerlo lontano dal marcio, commentando tra loro con malcelato disgusto).

Il Maestro, il magis fatto minus, rallenta, fa tre passi indietro, si avvicina alla carogna, l’accarezza, sorride, la guarda teneramente, con amore. E chinatosi, sussurra: “le perle non sono più bianche dei suoi denti…


Dal ‘pensiero positivo’ di Gesù (per Lui il bicchiere pur vuoto era sempre pieno…) alla autoconsapevolezza (e poi, efficienza e, soprattutto, efficacia), del discepolo del vero maestro:


“Dio è morto. La croce ha ucciso la speranza dei discepoli. I primi cristiani sono morti. E non avevano fatto neanche i primi passi…

Facciamo anche noi qualche passo insieme ai due discepoli sulla via di Emmaus. Uno ha un nome (Cleopa), l’altro è anonimo: c’è sempre chi ha un nome, è ‘nominato’, e chi vive ai margini, nell’ombra. Giovani nella fede, i due non hanno esperienza, non sono ‘usciti’ dalla ‘morte’ (ex-perire): la loro (più che altro, un ‘sonno’) e quella di Gesù (reale). Non si sono risvegliati.

Dio è assente, perché parlano tra di loro, ma non con Dio.

Dio, in Cristo, è presente ma sembra assente. Assente, perché, non solo il popolo, ma i suoi discepoli non l’hanno veramente sperimentato. L’esperienza normale è l’invisibilità dell’uomo all’uomo (R. D. Laing). Gesù, pur resosi visibile, è ‘invisibile’ ai due viandanti. Invisibile, non solo in quanto Dio, ma come uomo. L’esperienza, perché sia tale, deve diventare evidenza. E perché l’esperienza dell’altro sia evidente, dev’essere introiettata, o meglio ancora, deve nascere dal di dentro. La tua esperienza deve diventare la mia esperienza.

Ma experire è anche ‘rischiare. È azzardo, fede. Nondimeno, è Dio che infonde la fede… È lui il primo a muoversi. Ed è quello che fa Gesù con i due viandanti.

Gesù prende l’iniziativa e va loro incontro.

Gli uomini non lo (ri)conoscono ma Gesù li conosce. Essi non sono ‘presenti’ nella condizione di Gesù, ma egli è presente nella loro condizione di pellegrini. Ogni uomo, ogni donna, è una ‘sizigia’ corpo e anima in cerca dello spirito. Cleopa e il compagno sono la personificazione della disperazione e della sfiducia (di-sperati: lontani dalla speranza, dis-sperati: dubbiosi). Volendo ‘giocare’ (ma non è detto) con le parole (alla Heidegger), il compagno ‘anonimo’ simboleggia, in particolare, il ‘male oscuro’, senza ‘nome’ e apparente causa: la (quanto mai attuale) angoscia (angst). Tuttavia, la ‘notte oscura dell’anima’ è solo una tappa del cammino del cristiano: l’esperienza in cui Dio sembra essere lontano accade per la nostra crescita e maturazione.

L’incontro non è casuale. L’incontro tra Dio e l’uomo è sempre causale, sincronico, anche quando non appare tale. Basta andare ai momenti precedenti l’incontro reale e si troveranno tante coincidenze significative… Dio e l’uomo sono in rapporto ‘speculare’, ma non sempre lo ‘specchio’ è pulito. È Gesù, in ogni caso, a fare il primo passo. Anche quando pensiamo di essere noi… Gesù viene (nell’AT è appellativo di Dio). Dio si nasconde in Gesù, si nasconde a noi, ma poi si rivela, viene. Assente e presente, è sempre l’ente. Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro (v. 15).

Voce e parola sono i luoghi privilegiati dell’incontro. I due viandanti (‘pellegrini’), interrogati dallo sconosciuto, manifestano il motivo della loro tristezza e, invece di venire blanditi, sono aspramente rimproverati (Dio scuote l’anima affinché lo spirito si risvegli): la disperazione dev’essere completa affinché ci sia la creazione, la ‘nuova nascita’. L’uomo non deve trovare altro appiglio se non in Dio stesso. Il suo sapere deve tramutarsi in non conoscenza alla presenza di Dio, della Sophia divina. Dio è, anche, la ‘nube della non conoscenza’. (“E quindi, io ti consiglio: segui l’esperienza piuttosto che la conoscenza” – in supra), che tuttavia si fa ‘presente’ in Cristo, e in lui allontana ogni distanza dall’uomo. Dio è un ‘tu”, ossia una persona con cui è possibile interagire, come con qualunque altra persona.

La risurrezione rivela il senso delle Scritture. E così Gesù ‘rilesse’ loro tutte le Scritture, in particolare lì dove i profeti avevano predetto: “Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” Ciò che sfugge a una prima lettura, superficiale, può colpire a una seconda lettura, più profonda. Anche se ce ne accorgiamo in seguito. Ma, soprattutto, è la presenza del Risorto a rivelarcene il significato. Nondimeno, biunivocamente, è la lettura della Bibbia che ci rivela il Cristo: Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per via e ci spiegava le Scritture? (v. 32). ’Sacramento’ della ‘parola’ e ‘presenza’ della ‘Parola’: affinché la conoscenza diventi ri-conoscimento (e riconoscenza) occorre l’interprete (Gesù).

Gesù s’insinua nei loro cuori. Egli fece come se volesse procedere (v. 28). Non era necessario che Gesù facesse finta di andarsene, ma così facendo suscita in loro il desiderio di continuare a stare insieme. Il loro cuore era ancorato al Dio morto, ma Gesù Lo risuscita nei cuori, che da freddi trasforma in ardenti. La memoria ri-corda, sintonizza la mente col cuore.

Non basta un’esperienza religiosa per diventare cristiani. Occorre un ‘rivolgimento’ interiore, un cambio di percorso, ma prima bisogna ‘fermarsi’. E trattenere Gesù, farlo dimorare con noi, in noi. Paolo dirà: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Gal 2,20).

Riconobbero Gesù da come spezzava il pane. Fede e speranze erano rimaste sigillate nella tomba. C’era bisogno di un qualcosa che spezzasse l’’incantesimo’. Allora i loro occhi furono aperti (v. 31). Non fede cieca e sognante, ma comunione (lo spezzare il pane). Il semplice gesto con la mano di Gesù, come per Maddalena l’essere chiamata per nome (Gv 20,16), furono i ‘segni’ che lo resero ‘visibile’. La voce, la sua parola (la Bibbia); lo spezzare il pane, la comunione fraterna (e sorerna) – se vogliamo, il ‘sacramento’. Sola Scriptura, sì, ma anche comunione-comunicazione. Gli incontri col Risorto sono incontri ‘trasformanti’, diventano l’inizio di una nuova e definitiva conversione alla fede. Non si può vedere il Risorto senza credere in lui. Se consideriamo Gesù ‘morto’, la nostra fede in lui sarà solo esteriore; se ci viene incontro, se si manifesta come ‘vivente’ (il che dipende, essenzialmente da lui – Gv 15,16 – e, concordemente, dal Padre – Gv 6,44; ma noi abbiamo la nostra parte), all’evento-Gesù si accompagna l’’avvenimento’ conversione interiore.

Il racconto gioca, in definitiva, sullo scarto riconoscimento-presenza: Gesù, quando è presente, appare assente (non viene ri-conosciuto); allorquando, alla fine del cammino insieme, viene riconosciuto ridiventa assente (scompare). Sono due invisibilità diverse, ma la seconda ha un senso. Sullo sfondo, la profezia realizzata, perno della ‘teologia’ di Luca. Un cammino dialogante, in cui Cristo si fa presente (anche oggi) tra il suo popolo, mediante: – la trasformazione della memoria (da negativa in positiva); – la lettura ‘profetica’ delle Scritture (v. anche le varie teologie della ‘liberazione’ e della ‘speranza’); – infine, il ‘divezzamento’ (o l’ingresso nella ‘maturità spirituale’) dei discepoli all’atto dello spezzare del pane, il momento in cui Gesù scompare, lasciando loro il testimone. Dio è presente nella nostra libertà: la sua assenza dà spazio alla nostra presenza. Ma si tratta di una presenza trasformata, di una vita resa ‘autentica’.”


“Si può riunire solo ciò che è separato… Stabiliamo una morfologia del racconto de-strutturando le componenti, puntando essenzialmente su tempi, luoghi e funzioni dei ‘personaggi’. La ‘struttura’ del testo segue, significativamente (v. Richard Rohr, ma pure il Propp, nella “Morfologia della fiaba”), il tema del ‘rituale’ d’iniziazione (ma qui il processo è exoterico, più che esoterico), ovvero l’’ingresso ufficiale’ del ‘ragazzo’ nella comunità degli ‘adulti’, dopo il voluto ‘abbandono’ nella boscaglia da parte dei ‘genitori’. Qui ritroviamo tutti questi temi:

Separazione e partenza (v. 13): l’’abbandono’, il ‘distacco’ dalla ‘madre’ (fagocitante), ovvero da quella parte di ‘femminilità’ negativa che spinge al non sapere, non pensare, non analizzare, non spiegare… (in questo caso, i due discepoli disillusi che si allontanano, sia pur momentaneamente, dalla comunità). Parlavano tra loro: la ‘discesa nel profondo’, l’’elaborazione del lutto’. Lo stesso giorno: il processo di riflessione’ e l’eventuale ‘decisione’ spesso non ammettono dilazioni. Due di loro – sessanta stadi: al di là della ‘lettera’, la portata simbolica (il ‘due’ come corpo e anima, …manca lo spirito, oppure come ‘dubbio’ e ‘negatività in generale; il ‘sei’ come ‘umanità’ in cerca del ‘sette’: ‘riposo’, shalom, Cristo) arricchisce il contenuto semantico e interpretativo.

Il viaggio (vv. 14-27): la ‘discesa’, la ‘spirale’. Continua il ‘viaggio’ introspettivo dei due discepoli (dall’Io verso l’inconscio). Discorrevano: la parola umana che cerca un senso nella parola divina e un radicamento nella ‘Grande Storia’. Tristi: la ‘ferita’, il crollo delle certezze, l’’umiliazione rituale’: il ricordo dell’insuccesso, il riconoscimento della ‘ferita’, la ‘delusione’, e la loro reintegrazione in un orizzonte di senso, aiutano a ‘crescere’, a forgiare, fortificare. Si avvicinò: l’incontro. L’essere umano è smarrito, ma Dio viene a incontrarlo nel bel mezzo del suo errare. Viene come sempre a cercarlo all’interno delle sue stesse torsioni…" (‘Torna alla vita’, Simone Pacot). Gesù viene (ma nell’AT è appellativo di Dio!). Il Cristo rimane ‘velato’ per chi lo segue ma non è ‘nato di nuovo’, sia esso un suo seguace noto (Cleopa) o anonimo (l’altro ‘discepolo’). Noi speravamo: l’’oppositore’, la disillusione che si oppone all’evidenza (delle Scritture) e alla testimonianza oculare (della donna). “O insensati”: l’’uomo con la spada’ (la spada dello Spirito che taglia il ‘velo’, il ‘due’ che si fa ‘tre’: corpo, anima e spirito), la ‘lancia insanguinata’ (“Non doveva il Cristo soffrire…”).

L‘arrivo (v. 28 - 32): il ‘centro’. “… egli fece come se volesse procedere”. La tentazione, il gioco delle parti. “Essi lo trattennero”. La svolta, la ‘luce’ che fa fuggire l’’ombra’ (pur necessaria, specie per una ‘svolta’: è pericoloso trovarsi a un ‘trivio – sacro a Pan – a mezzogiorno, quando l’ombra diventa invisibile. Può scatenarsi un attacco di panico…), la necessità di ‘suturare’ la ferita con il ‘filo’ di Cristo e l’’olio’ dello Spirito. L’affetto vince sulla ragione, il ‘lato femminile’ reintegra quello ‘maschile’, lo spirito si ‘separa’ dall’anima e, solve et coagula, rinnova la comunione ‘paolina’ corpo-anima-spirito. “Allora i loro occhi furono aperti”: il Cristo ‘svelato’. Il Kairòs, il momento dell’’intrusione’, l’esperienza ‘cosmica’, ‘oceanica’, delle ‘vette’. Fine del solo Chronos, ingresso nella ‘soglia’ del nuovo Aion, epifania del Divino, del ganz andere. Unica nella sua eccezionalità (“ma egli scomparve”), ma densa di prospettive…

L’irradiazione (vv 33-35: “… tornarono a Gerusalemme). Dal ‘solo Io’ al ‘Noi siamo’ (attraverso l’’Io sono’). La trasformazione individuale porta dalla ‘Piccola Storia’ alla ‘Grande Storia’. La ‘voglia di vagabondaggio’, il ‘viaggio ai confini della notte’, fa travalicare il ‘recinto’ e, pur tra ‘sentieri’ (heideggeriani), porta alla ‘radura’ (per alcuni, al ‘porto delle nebbie’).

Dal caos interiore è nata la stella (anzi, la costellazione) danzante…

Dal punto di vista esegetico, la lettura è in chiave strutturalista, con inserti ermetico-simbolico-anagogici, che, ovviamente, non esauriscono ogni alternativa e ‘finestra’. Questo, perché la Bibbia è un libro ‘multilivello’, dai ‘settanta’ significati (“Una cosa Dio ha detto, due ne ho udite” – Sl 62,12). Esegesi che interpolano richiami ‘archetipici’, ‘mitologici’, ‘simbolici’, ‘ermetici’, oltre a quelli più chiaramente psicologici e filosofici, possono essere quanto mai utili a comprendere le ‘pieghe’ del testo. Qui si è seguito il processo di trans-formazione del racconto (il che non ne esclude la storicità), nel suo dispiegarsi di ‘fabula’ e ‘intreccio’, seguendo i ‘personaggi’ nelle loro ‘discese’, ‘spaventi’, ‘miracoli’, in cui anche l’’ombra ha la sua ‘luce’. Ma non solo il ‘viaggio’ (come p. es. nel Taoismo), ma pure l’’arrivo’: anzi, è proprio questo – lo ‘svelamento (di Dio e dell’Io) – che dà senso al tutto. Il racconto è strutturato per evidenziare che, dietro a eventi apparentemente casuali, c’è una sincronicità che rimanda al Divino, alla Grazia ‘speciale’ (non solo quella ‘comune’), della quale, anche quando nulla sembra trapelare, l’intimo, ‘toccato’, prende coscienza (“Non sentivamo forse ardere il cuore…?).

Di lì inizia la ‘danza dei sette veli’ (che cadono, più o meno rapidamente, a uno a uno), la quale, non solo porta alla trasformazione individuale, ma anche a quella sociale (missione ed ‘evangelizzazione’).”