martedì 23 dicembre 2008

√ » Ma OBAMA ha usato l’Ipnosi? (Ebook Disponibile!)

√ » Ma OBAMA ha usato l’Ipnosi? (Ebook Disponibile!)

E se Obama avesse utilizzato l'ipnosi? (altro che 'I can' o le canne...)


Ma Obama avrà usato l'ipnosi per raggiungere il top? E visto che il tempo è maturo (ma i frutti dell'anno sono ancora acerbi, se non inaciditi - e poi l'albero di Natale non è più tanto verde, e i panettoni sono pure un po' sgonfi...), mi vien da pensare: non sarà che anche Gesù ha utilizzato la PNL?
Mi fermo qui, non vorrei essere irriverente. E io, che come Jung, so ("se credo che Dio esiste? Io non credo, so!"), sono certo che in Gesù ci sia stata ben più che PNL o terapie strategiche brevi: la Sua 'terapia' era, sì, breve (e gli effetti duravano a lungo - molto a lungo, in eterno...), e infarcita di paradossi (più che zen: diciamo, uno zen allo zenit...), ma la Sua strategia era ancor più persuasiva e pervasiva (senza essere 'invasiva') di ogni psicoterapia umana, per quanto efficace possa essere: nella 'Gesuterapia' (Gestalt?) non c'è solo il cambiamento della persona, ma il suo approfondimento (da ogni pietra Gesù può ricavare il diamante, pur restando Pietro Pietro, Paolo Paolo, Maria Maria: da ogni singolarità Egli trae una 'singolarità 'più 'efficace').
Poi, quanto ad Obama e alla sua 'strategia comunicativa' e 'seduttiva' presuntivamente fondata sull'ipnosi eriksoniana (una delle 'chiavi' della PNL), mi meraviglierei se non fosse stato così: chi, tra i leader e comunicatori d'ogni tipo, non utilizza, magari non scientemente, una 'strategia' prossemica o un qualche mezzo di 'se-duzione'? Se poi da questa nasca sedizione o dedizione, o se ne tragga benedizione o si vada in definitiva perdizione, tutto sta nell'emittente, nel ricevente, nel 'canale' e nel messaggio.
A proposito di quest'ultimo, Buon Natale (e per farvi passare un po' di tempo tra un cenone e l'altro, vi allego l'e-book su Obama della BRUNO Editore: forse vi darà la dritta per farvi vincere almeno a tombola...).

martedì 16 dicembre 2008

Million Dollar Baby

La filosofia mi tira, la teologia mi attira, la psicologia mi attrae, la spiritualità mi atterra… (mi atterrisce, ma di terrore sacro.) Ma la fede mi porta in alto - Il Terribile è accaduto!

Pistis SophiaFede e Sapienza: la Tradizione che non tradisce…

Ho rivisto Million Dollar Baby e ho compreso una volta ancora che la vita bisogna afferrarla, per poi lasciarla andare sulle onde dello Spirito. Anche se tutto questo può portare, in taluni casi (il film ne è un 'tipo'), a una momentanea fine, forzata da una ferma volontà d'indomita rassegnazione: un tranciare il filo dell’esistenza, dopo aver cavalcato la tigre, affinché dall’existenz minimum si passi alla massima vita. E se ciò – il forzare il passaggio oltre il velo, squarciandolo – può non essere moralmente plausibile, so pure che la Sua benignità dura in eterno…

La ragazza da un milione di dollari (Hilary Swank/Maggie il corpo, non poi tante - le ragazze - nello spirito) mostrava una sua fede, sia pure apparentemente aliena dallo Spirito; così pure, anche se per velati cenni e la Stimmung generale, i due suoi 'coach' (Clint Eastwood/Frankie e Morgan Freeman/Scrap sullo schermo - digiuni, forse, di PNL nella 'carne', non di certo nello 'spirito'). Una ‘trinità’ che ben rappresenta ogni tri-unità ‘corpo-anima-spirito’, nei loro complessi intrecci e intersezioni (l'olismo che 'supera' ogni mera 'unità').

E poi, il quarto (con e oltre Jung): lo 'spettatore', che ben comprende – in sintonia, anche non avvertita, con l’essenza del messaggio di Cristo (ri-soffiato continuamente, di età in età, di luogo in luogo, dallo Spirito Santo, o, se volete, dall'Energia Cosmica: d'altronde, lo Spirito è la Dynamis) – che la ‘profondità’ della Realtà è ben oltre la 'superficie': e come tale può anche essere contro la nostra ‘morale’, per quanto buona e 'morale' possa apparire. Se noi addentiamo il ‘frutto proibito’ (la ‘mela’, il ‘pomo della discordia’) male ci coglie… - ma è una felix culpa: il tempo, la vita stessa, noi come 'esseri umani', ne siamo la 'debita' conseguenza (pieni di 'debiti', ma con qualche 'credito'...): non ci sarebbe redenzione, libertà, felicità, se non riuscissimo a liberarci dalle catene per correre verso le vette. Ma Dio è Colui che ha creato anche la mela e Lui può usarla a suo piacimento!

Qui mi fermo (lascio che io mi ‘riposi’ e altri vadano ‘oltre’) e, in mia vece, lascio che alcune 'gocce di pioggia a Jericoacoara' (il mio ‘book’ non tanto ‘instant’) vi bagnino. Purché non vi raffreddiate...


“E come dicono piacesse a una fanciulla svelta il pomo dorato che le tolse l’impaccio della sua ritrosia, mi piace.” Di morso in morso, sempre più vicino al torsolo… Lorenzo, dimentico della Genesi (e memore di Catullo), clonò il suo sorriso: solo allora si rese conto – forzando un po’ i tempi – che due incontri casuali in così breve tempo facevano bingo (più che ambo) nel campo delle leggi statistiche (che lui ben conosceva, da un esame marginale del suo piano di studi) e che si accingeva a rientrare, per l’ennesima volta, nell’accidentato territorio di Jung e delle sue sincronicità. La situazione non era però impilabile in quella della piscina: l’intreccio di libro e gambe configurava uno scenario ben diverso.

«Conosci Laing? Mi riferisco a erredì Laing (Lorenzo calcò intenzionalmente sulle iniziali R. D. per giocarci un po’), il guru della pazzia...»

Scagliata la prima pietra, il tempo di un respiro, fatta una breccia nella muraglia, cominciò ad avvolgere (come non era solito fare) l’inerme fanciulla nelle sue spire.

«Sì, il guru: beh, sai, la posizione del loto stimola!»

Lorenzo non riuscì a trattenere la banalità intellettualoide, arrotando pure la erre, ma la ragazza valeva ben una messa (...in moto, di ogni sua risorsa).

«Touché!» lei di rimando.

Ormai il contatto era on – l’anglicismo è qui d’obbligo in onore di Ronald – e la luce si accese su (e in) entrambi. Non particolarmente vivida, ma più che sufficiente a illuminare per una decina di minuti il percorso tra lo psicanalitico e lo spirituale che si era inaspettatamente avviato, complice Ronald David Laing, il guru inglese dell’antipsichiatria, il mentore di Lorenzo.

«Di Laing, e parlo del ’68 – che qui da noi era poi il ’69, l’anno del mio debutto in una bollente Firenze (e dintorni, Pisa soprattutto) –, mi aveva colpito il suo approccio esistenzialista. Mi sembrava quasi un Sartre più nauseato del solito, ma ciò che più mi attraeva era il suo cotè metafisico, spirituale, al di là del velo.»

Il fiotto delle parole fu quasi orgasmico. Lorenzo poteva, finalmente, permettersi di parlare alto.

Era da un bel po’ di tempo che non usava il sermo compositus per titillare e avvincere, se non convincere, gli interlocutori (le ultime frequentazioni di chiesa, gente spesso alla buona, e quel che rimaneva dei suoi cerchi di amicizie avevano abbassato il suo ‘tono’). Lui amava la varietas e la mutatio. E riusciva a passare, in un battito d’ali, dal sublime al terra terra. Ma quel che più detestava era l’analfabetismo culturale, il balbettio o la logorrea senza ratio pneuma. E i palloni gonfiati. Ma soprattutto, i talenti sotterrati. Non riusciva proprio a comprendere come si potesse vivere senza cultural literacy. Lui valutava le case, e le persone, dalle loro librerie…

«Certo, Laing. Se non fosse stato per lui, anch’io sarei rimasta al muto cicaleccio quotidiano. Oppure, all’happy hour, al brunch, al grunge... Niente di male, per carità. C’è il tempo per i voli pindarici e quello per le scivolate e le bischerate (qui Gaia toccò le corde del Lorenzo alla fiorentina, già a mezza cottura…). Ma io, allora, e parlo di solo un paio di anni fa, volevo, non solo conoscere, ma sapere. Penetrare nelle cose. Coglierne l’essenza. Pistis e Sophia, fede e sapienza. Ed ecco che, in un incidente di percorso, andai a sbattere contro Ronald. Se sei pronto, il maestro non si farà attendere… E lui mi venne incontro. Come ti ho detto, più che un incontro, fu uno scontro. Uno sgambetto, un colpo a tradimento. Un deragliamento dal binario delle mie robotiche certezze. Prima robuste, poi indebolite. Se non fossi inciampata in Ronald, avrei continuato a bighellonare tra vetrine e display. Oppure sarei rimasta in sosta, al palo o da velina (il massimo immaginabile, ma c’è pure il minimo…), in quel grande parco-macchine che è il mondo. Magari girando e girando in cerca di un posto… Una gogo girl tra tanti gogo boys. Ma lui era dietro l’angolo e mi colpì alla testa.»

Gaia finse di massaggiarsi la tempia destra (il ‘cervello destro’?) e continuò la corsa, premendo l’acceleratore.

«Un libro. Sì, è stato proprio un libretto a cambiarmi la vita. A introdurmi in nuovi territori, inesplorati. Con strani abitanti. A farmi navigare su mari lontani, e pericolosi. Una cosa tra le cose, un volume affondato nell’oceanica biblioteca di Babele di questo caotico cosmo quotidiano. L’ossimoro che si fa emozione, la bellezza che dà ossigeno all’anoressica realtà, una flebo di vita ‘autentica’ per disintossicarsi dalla tisica quotidianità. Un libro trans contro l’anossia dell’esistenza. Spruzzi e sprazzi di vernice spray sul muro bianco della mia vita (anche se ho letto da qualche parte che “L’uomo è un foglio bianco, su cui l’ambiente e la società incidono delle linee precise). ‘La politica dell’esperienza’, il libro che tu ben conosci, trovato per caso (ma il ‘caso’ è il ‘cacio sui maccheroni’ della quotidianità) su una bancarella di libri usati, fu proprio una mazzata. Una scossa, in particolare la sua chiusa: “Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste.” E io seppi, ma non mi fermai lì, andai oltre…»

Solo un attimo di sospensione, e poi la stoccata finale.

«A proposito, se incontri il maestro, abbraccialo, bacialo e poi… uccidilo.»

(...)

Un lampo, un flash-back nello spin del tempo: fu proprio alla svolta dell’ultima pagina del fatidico 1991 che – complice un ‘supporto’ umano (e un altro paio a far da ‘volano’) – Lorenzo si ‘risvegliò’, rientrando in sé come il figliol prodigo (pur non avendo vissuto, salvo qualche intemperanza – so’ ragazzi… –, alla maniera dissoluta di questi). Ma, passato il momento di lucidità, non sempre era riuscito a sfuggire al cappio dell’immancabile (sia pur sempre meno frequente) ricaduta, ripetutamente risucchiato dall’esistenza ordinaria.

Come un sonnambulo o, peggio, un robot, aspirato dai suoi pensieri, dai suoi ricordi, dai suoi desideri, dalle sue sensazioni, dalla bistecca che mangiava, dalla sigaretta che fumava, dall’amore che faceva, dal bel tempo, dalla pioggia, dall’albero vicino, dalla vettura che passava... Pur non rientrando appieno nella tipologia (comune, diciamo pure maggioritaria) dell’uomo sonnambulico, o eterodiretto, non sarebbe di certo sfuggito all’occhio levantino di monsieur Gurdjieff (anche se Lorenzo non fumava).

Fasi up e fasi down. Up nella sua volontà, down nelle viscere del suo subconscio. Qualche volta il ribaltone. Guai se il down esteriore fosse stato, abitualmente, in fase col down interiore… Che risonanza! Anzi, che dissonanza. Stonata: depressione, vuoto, oppressione, letargo. Ma ora i due up si erano riallineati e Lorenzo, sospinto fuori dalla caverna delle ombre vaganti, si era ri-risvegliato (se così si poteva dire) quel che bastava per continuare quel cammino sul ponte, così pieno d’intralci e intoppi (e scivoloni), che pure – così almeno gli era stato profetizzato anni prima – lo avrebbe portato verso una meta luminosa.

Un faro al termine della notte: da tempo premonizioni, intuizioni e segni vari (bagliori) gli avevano fatto intravedere squarci di un mondo ‘autre’, di un’altra dimensione della realtà. E una chiamata a una vita diversa...

Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione ... Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario ... Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Il viaggio alla Céline (anche se Lorenzo oscillava più tra Céline Dion e Dion Fortune, tra la cantante e l’esoterista) lo stava portando dal fondo della notte verso un’alba dorata. Lui che, come Salgari, suo compagno di fanciullezza, viaggiava soprattutto a cavallo della fantasia. Anche in questo cavalcava la tigre.

L’immaginazione al potere. E Lorenzo, immaginifico com’era, sarebbe certamente diventato re… Circostanze e coincidenze gli avevano dato delle indicazioni ben precise e lo stavano accompagnando, mano nella mano, talvolta con strattoni, verso la corona – Keter –, la ‘sfera’ più in alto sull’’albero della vita’. Oppure, anche senza scettro, nella giusta direzione. Giusta ma non ancora a portata di mano, o di vista (se non del terzo occhio: l’oculus fidei).

Se fino ad allora tutto era andato a rilento, ora ebbe, dentro di sé, la sensazione certa che tutto avrebbe cospirato a farlo andare, e quanto prima, verso la meta. Non solo quella eterna: già un primo traguardo – e che traguardo! (ma lui non lo sapeva ancora) – in questa vita. Saltando, zompando, cabalisticamente, dal tempo circolare – l’eterno ritorno – dei primordi al tempo cubico – lineare – del futuro: scagliato come un dardo verso il traguardo.

Morte, dov’è il tuo pungiglione? Dalla vita ‘muta’ alla vida loca. Dal Mito alla Storia… Ma sarebbe stato pur sempre un futuro ‘mitico’. Luminoso, gioioso, focoso. Vitale, vitalistico, pieno di slancio. Olistico. Senza più affanno e viso abbattuto. Non più come Caino. Al contrario, sarebbe corso verso la meta ridendo, danzando, con una mano verso il cielo e l’altra puntata verso la terra.

Dionisiaco e apollineo. Filosofo e poeta, avrebbe inghiottito il tempo in una folle risata. Non più l’Adamo scacciato dal giardino (si era forse scocciato?), Lorenzo, ma lo Zarathustra disceso dal monte (e come rimase scioccato!). Per lui, che nicciano era fino al midollo, diciamo pure fino all’ossimoro (e non nicchiava più), era giunto il momento (divino, malgré Nietzsche) di trangugiare tutto d’un fiato il ben poco sciropposo Gilles Deleuze e la sua salata citazione internettiana, scippata a un sito di ‘cultura non conforme’: “Coloro che leggono Nietzsche senza ridere, e senza ridere molto, senza ridere spesso, colti talvolta da un fou rire, è come se non leggessero Nietzsche.”

E Lorenzo aveva deciso di ridere.

lunedì 8 dicembre 2008

Peak State

Oggi, otto dicembre, ho de-ciso d'inerpicarmi verso le vette (d'altronde, otto = infinito; dodici = numero solare: 3x4, ossia la triade suprema che 'illumina' le quattro plaghe terrestri). Lascio. dunque, le pianure (soprattutto le depressioni), supero le colline e miro (verso) le stelle... Traguardo: l'esperienza delle vette (anche, esperienza oceanica, cosmica...). E in subordine - visto che, strappando il cielo, dobbiamo srotolarlo sulla Terra - anche peak state.
Stato di picco, per non andare a picco... (troppe le zavorre che ci trasciniamo appresso: e anche se sappiamo nuotare ...). Ed ecco quindi che, per la prima volta (sembrerà strano), ho fatto un acquisto web (a parte i soliti bigliettini da visita): l'e-book in cima (guarda caso) al banner. Ma perchè? Perchè voglio superare il peak state, voglio congiungerlo con l'esperienza delle vette, voglio praticare la PNL con Spirito... Da quando? Da subito! (mai rimandare, per evitare che dal peak state si passi - l'ora pre-pranzo me lo suggerisce - allo steak state...).
Poi, riguardo a cosa sia la
PNL+Spirito - chiamiamola per il momento PERK (Programma Emozioni Ruah Kinesis - o qualsiasi altro acronimo in cui ci sia lo Spirito/Ruah) - rimando tutto a domani.

mercoledì 3 dicembre 2008

Tramonto dell'Occidente - Alba dell'Oriente (quello messianico, non massonico)

Dietro il numero c'è Dio, ma Dio (e ogni realtà oltre) spesso si cela dietro il simbolo.
Il simbolo getta un ponte tra l'inesprimibile e il contingibile: unisce l'Oriente con l'Occidente (evitando che il secondo tramonti... - anche se Nietzsche non sarebbe d'accordo: occorre che l'ultimo uomo tramonti!). Fatto è che, tralasciando altri approfondimenti, lì dove si giunge alla 'radice' delle cose (delle parole, per esempio), o dove si ci s'inerpica fino al 'simbolo' che 'sottende' realtà altrimenti indicibili, oppure quando si perviene al 'terzo cielo' dell'esperienza mistica o estatica, lì, finalmente, si raggiunge un accordo tra gli uomini (e le donne - diciamo pure tutta la realtà, visibile e ultrafanica). Per comprendere come opera il 'simbolo' e come anche, e soprattutto, i numeri abbiano una valenza simbolica, 'posto' una mia breve considerazione sul significato simbolico del numero correlato a un club associativo (Club 41), numero
sul cui significato 'anagogico' si era, forse, glissato - presumendo che indicasse solo l'età minima dei suoi associati (ma forse quel numero è solo lì per 'caso': ma come si sa, il caso è la scorciatoia che Dio usa quando non vuole farsi vedere...).

Significato simbolico del numero 41.

Il numero quarantuno non ha, di primo acchito, quella manifesta implicazione simbolica ‘statutaria’ (per così dire) che viene riconosciuta a numeri di più ampia connotazione anagogica, quali, per esempio, l’uno, il tre, l’otto… Nondimeno, è evidente che, per ‘risonanza’, è possibile individuare un’accezione simbolica, peraltro piuttosto ‘accentuata’, nel numero 41.

Innanzitutto, il 41 succede, ovviamente, al numero 40 e ne indica, anche ‘simbolicamente’, il ‘superamento’. Ciò è ‘rafforzato’ dalla considerazione che 41 è un numero dispari e, come si sa (Virgilio docet), Dio si rallegra del numero dispari (d’altronde, anche Platone, fra i tanti, sosteneva che i numeri pari fossero di cattivo auspicio).

Per dare ‘corpo’ alle argomentazioni – occasione la conferenza "I MISTERI DEL CRISTIANESIMO ‘L’Olismo originario e le Verità Rivelate’, relatore l'autore dell'omonimo libro, Teodoro Brescia – consideriamo la questione da un’ottica biblica (basti pensare che Filone Alessandrino fondava la sua interpretazione delle Scritture su basi numerologiche e Sant’Agostino stesso affermava che «la mancata comprensione dei numeri impedisce di capire molti dei passaggi figurati e mistici delle Scritture»). L’isopsefia e la ghematria – l’interpretazione numerologica delle parole, la prima in ambito cristiano, la seconda da parte della Qabbalah –, d’altronde, sono strumenti che, al di là delle implicazioni bibliche, cercano di individuare la chiave giusta adatta a svelare il mistero della Natura e l’Harmonia Mundi celata in ogni cosa, ovvero la complessa interrelazione (Tutto è Uno) tra macro-cosmo e micro-cosmo, tra essere e divenire.

Torniamo al nostro numero, ma per individuarne la ‘chiave’ simbolica soffermiamoci dapprima sul suo ‘predecessore’, il Quaranta.

40: numero d’attesa e preparazione, di ‘filtraggio’ – purificazionema come attraverso il fuoco. O meglio, attraverso l’acqua: infatti, come è trasmesso da Genesi (cap. 7), il diluvio è durato quaranta giorni e quaranta notti (7,12). Quindi, è un periodo d’intensa tribolazione, in cui si salva solo un ‘resto’ di ‘eletti’. Questo trova conferma nell’altrettanto tragico (sia pur in misura decisamente più ridotta) evento della distruzione di Sodoma e Gomorra: Abramo implora Dio di salvare Sodoma se vi avesse trovato almeno 40 giusti (ma dovette scendere a più miti consigli: fino a dieci – che, peraltro, non furono trovati... cf Genesi 19,28-32). È, dunque, un numero di ‘morte’ (in Egitto, Giuseppe impiegò 40 giorni per imbalsamare il corpo del padreGenesi 50,3). Ma è, soprattutto, un numero di ‘passaggio’, in attesa della Terra Promessa (tuttavia, è un periodo scarsamente produttivo: è un girare a vuoto, un procedere tra alti e bassi, tra pericoli e carenze d’ogni specie).

Dapprima quaranta giorni per mandare un’avanguardia a esplorare la Terra promessa (Numeri 13,25 – senza concludere alcunché), poi, per ‘estensione’, 40 anni nel deserto (come punizione e prova Numeri 14,34-35). Nel deserto (in Esodo e Numeri), landa inospitale alla vita, luogo del male, del ‘silenzio’ ma anche del ‘chiasso’ e della rivolta spocchiosa, emergono i bisogni fondamentali dell’uomo e la ‘necessità vitale’ del suo rapporto con Dio – il Dio ‘personale’, non ‘astratto’ (anche il profeta Elia vagò quaranta giorni e quaranta notti prima di giungere sino al monte Oreb, cioè il Sinai – 1 Re 19,8). Ma è anche il tempo della ‘maturazione’ preliminare a ogni rapporto più stretto con Dio: è un periodo d’intensa attesa (Mosè rimase 40 giorni e 40 notti sul Sinai prima di ricevere le tavole della Legge).

È un periodo di sfida (Golia per quaranta giorni sfidò i Giudei – cf 1 Samuele 17,16 – e poi si presentò Davide…) e ravvedimento (Giona per 40 giorni predicò la ‘penitenza’ agli abitanti di Ninive Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta! cf Giona 3,4 – e alla fine fu ascoltato). Prova dura, tentazione, digiuno, preghiera, scontri ad alto livello… (come non pensare ai quaranta giorni di ‘tentazione’ di Gesù nel deserto? Matteo 4,1-11).

A questo punto, dato che il passaggio dal 40 al 41 è correlato al passaggio dallo 0 (la stasi ‘dinamica’, il ‘vuoto’, il ‘punto’) all’1 (l’inizio – un nuovo inizio – l’essenza delle cose, ma anche la ‘circolarità’ del divenire), oppure dal 4 (‘sintesi’ di 40) al 5 (‘sintesi’ di 41) – ossia dalla ‘stabilità’ (lo stare ‘fermi’, ‘rigidi’ – ma il rigido si spezza…) alla ‘dinamicità’ (la ‘quinta direzione’ punta verso l’Alto) –, è chiaro che, se il 40 è ‘attesa’ (e poi il numero quaranta, come d’altronde il numero tredici, rappresenta la morte simbolica, la prova iniziatica, iniziata ma ancora in fieri), il 41 è ‘compimento', ‘adempimento', ‘nuova nascita’, nascita ‘spirituale’…

Una generazione si chiude (il 40 indica anche la durata di una ‘generazione’), un’altra si apre….

Se poi consideriamo che il 42 simboleggia la dualità reintegrata del principio Spirito-Natura e che, secondo lo Zohar (libro cabalistico), esplicita il Nome divino di nove lettere (la corona del nome sacro), e che 42 è tre volte 14 (numero ghematrico di Davide), e quindi individua il Messia (l’Unto, il Re), anche come Servo di Iahvé e Figlio dell’Uomo (una sorta di Übermensch divino), e che le quarantadue generazioni da Abramo a Gesù (cf Matteo 1,17) sono in effetti 41 (nella Bibbia niente è per caso), tutto ciò indica lo stretto rapporto intercorrente tra 41 e 42.

In definitiva,

40: fine di una generazione che ha girovagato spesso a vuoto, affrontando gravi prove e traversie, e di cui pochi sono i sopravvissuti;

41: un nuovo inizio proteso al traguardo definitivo: il 42...

martedì 2 dicembre 2008

La radice e le foglie


Oggi mi sono alzato 'storto' ...e mi sento indolente. Ma qualcosa va per il verso 'giusto': la mia formazione spirituale e quel po' di PNL che non guasta (specie il 'riaggancio', o ancoraggio, a una situazione piacevole - ne riparleremo) - insomma, l'unione psiche-spirito (bisogna prima 'separarli' - per far venire lo spirito alla 'luce' - poi 'riunirli' per moltiplicarne gli effetti dinamici) - ha fatto il resto.
A proposito di 'indolente': andando alla 'radice' di un termine se ne trova il 'vero' significato e la parola 'morta' uscirà dalla 'tomba' e produrrà effetti 'vivi'. È vero, basta provarlo (non c'è bisogno, o quasi, di tornare a Heidegger e al suo 'radicamento' nel sottosuolo greco. Ma se si ha
tempo... e, specialmente, se dall'avere si passa all'essere...). Per esempio, nel caso di 'indolente', dovrei essermi alzato 'senza dolore'. Allora, qual è il problema? Evidentemente, senza cadere nell'agiografia dolorifica pseudo-cristiana, il 'dolore' è collegato al 'movimento'. Il dolore blocca, ma più spesso fa muovere... e questo vale in tutti i suoi significati oltre il 'grado zero' di lettura.
Capendolo, ho compreso che alla radice dell'indolenza c'è la stasi e, quindi, con brevissime tecniche psico-spirituali, ho tolto l''in', mi è rimasta la 'dolenza' e mi sono mosso: dalla stasi all'estasi... Di lì a partire il passo è stato breve (l'estasi è l'estate dell'anima: inutile dire che la stasi è l'inverno - forse, l'autunno, del corpo. Quanto allo spirito, è notte fonda...).
Quindi: tecnica dello 'sradicamento' della parola (per arrivare al suo vero 'senso'), tecnica del 'ricordo' (per riagganciarsi a uno stato, se non di 'picco', almeno di 'collina') e, prioritariamente, un saluto mattutino di benvenuto allo Spirito, affinchè ci 'risvegli' dal 'sonno'..
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giovedì 27 novembre 2008

L'angelo necessario



“In un pomeriggio d’ottobre pedalavo di lena (...) Canticchiavo e mi guardavo intorno, intenta alla rituale ricognizione del paesaggio (...) quando d’improvviso sentii la Voce che mi intimava: “Fermati e scendi.” Anche questa volta non c’era suono alcuno, ma solo lettere dorate rapidamente stampate nella mia mente. Esterrefatta, ma senza indugiare un secondo, saltai giù dalla bici e arrancai sul pendio erboso ai lati della strada. Dal tornante dietro a me spuntò un camion, che si mise a caracollare a gran velocità giù per la discesa. Sul lato opposto della strada, in direzione inversa, un altro camion prese a salire di fretta, sbandando vistosamente verso il centro della strada. Per evitarlo, il primo camion sterzò repentinamente a destra, invadendo la proda ghiaiosa dove mi sarei trovata io se avessi continuato a pedalare. Rimasi senza fiato (...)

Questa breve testimonianza di Grazia Francescato – la ben nota ambientalista, portavoce dei Verdi – tratta dal suo In viaggio con l’Arcangelo, riassume e ‘riaggomitola’, nel pathos del racconto (e nel suo ‘ethos’), quell’impercettibile ‘filo’ di miriadi d’incontri del terzo tipo che ciascuno di noi, prima o poi, ha avuto (o avrà) nella sua esistenza terrena. Sia che in essi intraveda un principio d’ordine superiore sia che, più prosaicamente, li declassi a banale frutto del caso, a quel gioco di circostanze che guiderebbe la danza della vita d’ogni giorno. Eppure, forse a noi spesso sfugge (o la nostra voce laica interiore, ‘figlia’ della razionalità novecentesca, ‘soffoca’ le nostre intuizioni), ma quante di quelle volte, in occasioni, non dico di pericolo ma anche solo imbarazzanti, abbiamo assistito a un capovolgimento insperato della situazione, al suo svanire come bolla di sapone che improvvisamente scoppia senza lasciare più tracce di sé! Casualità, coincidenze, oppure (sia pure una volta su mille!) una Presenza Superiore?

“Molti erano abituati a credere che gli angeli muovessero le stelle. Ora è chiaro che non lo fanno: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede negli angeli. Molti erano abituati a credere che la ‘sede’ dell’anima fosse in qualche posto nel cervello. Da che si cominciò ad aprire i cervelli con una certa frequenza nessuno ha mai visto l’’anima’: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede nell’anima. Come si può ritenere che gli angeli muovano le stelle, o essere così superstiziosi da ritenere che l’anima non esiste solo perché non la si può vedere dall’altra parte del microscopio?”

Ronald Laing, psichiatra ‘radicale’, non certo sospetto di ‘bigottismo’, aveva ben messo in luce il perverso meccanismo, ammantato di razionalità e modernità scientifica e ‘progressiva’, che ha ‘ottuso’ (almeno così io penso, anzi so...) la mente dell’’homo modernus’. Eppure... “Invocati o no, gli dèi sono presenti”: Jung aveva scritto questa massima, in latino, all’ingresso della sua casa. Il famoso psicologo, uno ‘speleologo’ delle ‘caverne’ dell’interiorità umana, aveva ben compreso che non tutto era riconducibile a coincidenze o a fantasmi dell’inconscio. Già il suo concetto di sincronicità, ossia di correlazione (coincidenza) tra fatti interiori ed esteriori che sfuggono a una spiegazione causale e razionale, introduce una nota d’’irrazionalità’ in un universo scientifico fin troppo razionale. La sincronicità mette in ‘sintonia’ il tempo ‘umano’ con quello ‘oltreumano’ (sia esso inconscio, superconscio, angelico...): in pratica, come nel racconto autobiografico della Francescato, una coincidenza tra uno stato psichico interiore (la voce che la intimava di fermarsi) e un evento esterno contemporaneo (il camion, che se non avesse dato retta alla sua voce interiore - o esterna? - l’avrebbe investita). Certo, Jung non si spinge a ipotizzare esplicitamente interventi soprannaturali, ma ben sappiamo come le sue riflessioni siano al limite del teologico (a chi gli chiedeva se fosse credente: “Se credo? Ma io so!”, questa fu la sua risposta). E fu proprio Jung a riaprire la porta verso il soprannaturale, coniugando scienza e spiritualità, dopo decenni di razionalismo ‘duro’. Ormai il tempo era maturo per comprendere appieno quanto il pittore preraffaelita (e liberty) Burne-Jones aveva confessato a Oscar Wilde: “Più la scienza diventa materialistica, più io dipingo gli angeli: le loro ali sono la mia protesta in favore dell’immortalità dell’anima”. E infatti, se è vero che, almeno nella sua essenza, si è avverata la ‘profezia’ dello scrittore francese André Malraux (“Il XXI secolo, o sarà spirituale o non sarà affatto”) - basti pensare che i soli cristiani pentecostali e carismatici, pressoché inesistenti a inizio ‘900, ammontano ora a circa settecento milioni (si vada al 'post' sulla Pentecost-Age) - battistrada di questa nuova (o antica?) spiritualità sono, per molti versi, proprio gli angeli, grandemente rivalutati non solo dai predetti movimenti cristiani ma anche dalla magmatica, o piuttosto ‘fluida’ (d'altronde, stiamo in una società 'liquida'), corrente New Age, dai mille rivoli (quello ecologista, quello mistico, quello magico...).

Ma chi sono questi angeli, queste eteree figure che hanno affollato l’immaginario di tutte le culture, e che s’infilano nelle crepe del ‘velo’ divisorio tra spazio-tempo umano (chronos) e spazio-tempo oltre-umano (aion) per dispensarci grazie insperate, difenderci dai pericoli o dirigere i nostri passi verso traguardi voluti o inattesi? Chi è questo daimon (nel senso greco, rivalutato dallo psicologo 'cult' James Hillman, di spirito che ci fa da compagno invisibile) che ci guida verso il compimento del nostro cammino terreno? Daimon interiore o Angelo esterno (ma tra i due ci può essere non solo armonia - né l’uno esclude l’altro - ma addirittura coincidenza) che, come ricorda Hillman, era accettato e rispettato dagli antichi, mentre noi, impregnati di scetticismo laico e moderno, preferiamo immaginarci ‘gettati nel mondo’, senza protezione, vigilanza, né collegamento alcuno con la ‘rete’ che collega e interseca il mondo visibile e quello invisibile.

Il Cristianesimo, e prima ancora l’Ebraismo, ha sempre creduto all’esistenza degli angeli. Innumerevoli sono gli episodi in cui si manifesta questa speciale manifestazione di Dio, sin dai tempi del Paradiso terrestre (i cherubini che sbarrano l’accesso all’albero della vita dopo il peccato di Adamo ed Eva, oppure i tre angeli - molto 'umani', uno di essi molto 'divino'... - che Abramo invita nella sua tenda), per arrivare alla Rivelazione finale del piano divino, quando (nell’Apocalisse di Giovanni) la ‘storia del mondo’, iniziata dopo la caduta dei nostri progenitori, nella sua evoluzione conclusiva sarà sorretta e guidata proprio dagli angeli (ovviamente, per chi ha una visione cristiana 'fondamentale', più che 'fondamentalista' - altrimenti lo si legga in chiave simbolioca o 'strutturalista').

In definitiva, gli angeli (e, per altri versi, la loro controparte negativa, i demòni - per non parlare, ma qui stiamo alla 'ghianda' hillmaniana, dei démoni socratici), questi illustri sconosciuti, hanno (ebbero e avranno), malgré le ragione dei ‘benpensanti’, un ruolo fondamentale nell’esistenza umana, singola e collettiva.
Angeli e démoni: la dynamis contro l'angst (detto alla buona: una 'dinamite' contro la depressione).

Diceva Rilke: “Non voglio che siano eliminati i dèmoni, perché si porterebbero via anche i miei angeli”. Anche se l’Uomo e la Donna hanno un ruolo decisivo nello svolgere la ‘matassa’ della propria vita, queste presenze spirituali ‘recitano’ una ‘parte’ importante nella ‘commedia’ esistenziale: “Noi preferiamo interpretarlo come un Teatro dello Spirito, di cui Dio è regista, gli Angeli e i Demoni comprimari e l’Uomo o spettatore o attore, dipende dalla sua libera volontà. Un attore la cui parte assume significato man mano che Dio gliela svela, sempre se l’Uomo dà il suo consenso... La parte viene scritta insieme, non è imposta dall’alto”. Così un personaggio del libro della Francescato. Importante è notare che in quest’azione scenica l’Angelo non può forzare l’Uomo, anzi gli è sottomesso. E per questo in molte scuole esoteriche o magiche s’insegna a contattare l’angelo (tipiche le famose ‘invocazioni enochiane’) per renderlo famulus (servitore) dell’adepto. Pratica però ben poco consigliabile, perché si potrebbero scambiare lucciole per lanterne...

Naturalmente, in pieno mondo secolarizzato (per quanto ci sia sempre più un Risveglio della Spiritualità, sia pure spesso in forme ibride o confuse) certi termini danno fastidio alla sensibilità laica e, al massimo, si parlerà di Energie Positive o Negative, oppure di Archetipi Universali. Questi termini, più consoni allo Zeit-Geist (Spirito del Tempo), non sono in sé errati: illuminano una ‘faccia’ del mondo ‘invisibile’, ma non ne esauriscono tutte le possibilità. Meglio comunque della teoria ‘riduzionista’ della Psicoanalisi, secondo cui apparizioni, segnali, sogni (e, di conseguenza, gli angeli), fanno parte del Teatro dell’Inconscio: anche questa ‘rappresentazione’ ha un suo valido fondamento, ma ancor meno spiega esaurientemente il complesso dei fenomeni che sfuggono alla comprensione diretta degli esseri umani (meglio in questo, oltre ovviamente a Jung, Assaggioli e la sua Psicosintesi, nonché Corbin e il mondo immaginale).

Se Dio non è ancora ‘morto’, anzi è ‘risorto’, è tornato dal suo momentaneo ‘buen ritiro’ (a dir il vero, sono gli uomini a essersene momentaneamente ‘disinteressati’...), è naturale come pure gli angeli siano ‘riapparsi’, loro che sono gli agenti segreti di Dio (da un libro di Billy Graham, famoso evangelista americano). Ma oggi, tra luci e ombre (la 'seconda religiosità', quella che Aldous Huxley definisce “autotrascendimento discendente”, opposto all’ ”autotrascendimento ascendente”, e che per Julius Evola rappresenta qualcosa di promiscuo, di sfaldato e di sub-intellettuale. Sono come le fluorescenze che si manifestano nelle decomposizioni cadaveriche...) nasce l’esigenza di riproporre una visione nuova dell’angelo, da affiancare a quella classica (ma sempre più attuale). Ecco quindi che Massimo Cacciari, nel suo L’angelo necessario (del 1986), manifestava la necessità dell’esistenza, e della stessa presenza, dell’angelo, come elemento ‘necessario’ per la realizzazione dell’uomo e per la piena comprensione di sé. L’angelo, secondo Cacciari, aiuta l’uomo a ‘disvelare’ l’invisibile, a rendergli possibile l’accesso alle regioni (e ‘ragioni’) ‘nascoste’ della Realtà. Indipendentemente se sia reale o solo ‘simbolo’, con l’angelo la realtà nascosta dell’Assoluto (Dio) si svela e si lascia intuire...

Ma anche gli angeli di Wim Wenders, queste ali di Dio che nel film cult “Il cielo sopra Berlino”: “... stanchi della loro costante e monotona perfezione, volevano diventare uomini, imperfetti e difettosi comuni mortali. Eppure conoscevano le angosce degli uomini perché li ascoltavano, nascosti nelle biblioteche, nelle strade, nelle vetture della metropolitana. Non importa, gli angeli diventavano uomini e la loro lucente e immacolata corazza diventava poco più che un oggetto da rigattiere; buona al più a far contento un bambino che l’avrebbe avuta in dono per la Befana o per il carnevale” (Mario Antonio De Cunzo, nella presentazione del catalogo della mostra Dietro le ali di Dio).

Da Sant’Agostino a Massimo Cacciari, c’è necessità dell’Angelo!: “...l’individuo da solo - buona ultima è la Francescato a sostenerlo - in perenne competizione con tutti gli altri per risultare vincente, non può andare da nessuna parte: è destinato a perdersi nei meandri del proprio enfiato ego. Neppure la buona volontà laica basta (...) Dunque bisogna chiedere aiuto, lasciare che l’anima ci venga in soccorso con i suoi misteriosi poteri.”

Si creda o no, l’angelo è necessario... Noi, se ‘vogliamo’ (I can... I must) e abbiamo fede, già ‘possiamo’ molto. D'altronde, se c'è il corpo, se c'è l'anima (sia pur dis-animata), prendiamola lameno con spirito.... (a proposito, il prossimo 'post' - dietro l'angelo... - sarà Prendi la PNL con Spirito!

domenica 23 novembre 2008

L'ebbrezza spirituale - Next Age o Pentecost-Age?

Pagine tratte dal mio libro: Gocce di pioggia a Jericoacoara

“Dalla gioia, che appena abbiamo terminato di descrivere, nasce un’ebbrezza spirituale che consiste, per l’uomo, nell’essere ricolmato di maggiore gustosa dolcezza e gioia di quanto il suo cuore ed il suo desiderio possano augurarsi o contenere. L’ebbrezza spirituale produce molti effetti strani. Mentre gli uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri versano lacrime abbondanti per la grande gioia del loro cuore. In quelli si manifesta un’agitazione di tutte le membra che li costringe a correre, a saltare, a danzare; negli altri l’ebbrezza è così grande da far battere le mani ed applaudire. Uno grida ad alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di quel che sente dentro; l’altro, al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo essere. Talvolta si è tentati di credere che tutti facciano la stessa esperienza; oppure ci si figura, al contrario, che nessuno abbia mai gustato quel che ciascuno sperimenta in se stesso. Sembra che sia impossibile veder sparire questa gioia e che di fatto non la si perderà giammai; e ci si meraviglia talvolta che tutti gli uomini non diventino spirituali e divini. Talvolta si pensa che Dio sia tutto per noi soli e che non appartenga a nessun altro che a noi stessi; talvolta ci si domanda con ammirazione cosa mai sia tale gioia, donde venga e cosa sia quel che ci accade. È la vita più deliziosa che un uomo possa conoscere sulla terra, in quanto gioia sperimentata. E talvolta le gioie son così grandi che il cuore crede che stia per spezzarsi…”

«Questa è l’ebbrezza spirituale. E qual è la gioia che la produce e che persiste anche dopo l’inebriamento?»

Julim continuò a leggere dal libro:

“La dolcezza, di cui abbiamo ora terminato di parlare, fa nascere nel cuore e nelle potenze sensibili una gioia tale che l’uomo pensa di essere tutto avviluppato interiormente dall’abbraccio divino dell’amore. Ora questa gioia e questa consolazione sorpassano in dolcezza, per l’anima e per il corpo, tutto quello che il mondo intero può dare di tal genere, quand’anche un solo uomo potesse esaurirne in se stesso tutta la pienezza. È così che Dio si diffonde nel cuore, per mezzo dei suoi doni, e vi spande una così grande e gustosa consolazione ed una tale gioia che il cuore interiormente straripa. Allora si comprende bene quanto sono miserabili coloro che restano al di fuori dell’amore. La gioia così provata fa quasi sciogliere il cuore, tanto che l’uomo non può più contenersi sotto l’abbondanza della gioia interiore.”

«”Quando il liuto intona la melodia, il cuore, impazzito, spezza le catene. Questo è Rumi, poeta sufi ma pentecostale ‘absconditus’. Il ‘Cristo interiore’, ineffabile, pervade tante esperienze mistiche e Rumi, il sommo poeta sufi persiano, era sensibile alle vibrazioni ‘cristiche’ e ‘pneumatiche’: era sulla stessa onda. E la passione, folgorante e martellante, di un Odino o di un Thor non la prefiguravano? Gesù non era solo buonista… D’altronde, secolo più, secolo meno, onda su onda, il flusso dello Spirito non si è mai fermato. Né prima, né dopo Cristo. Certo qualche secolo è stato più stagnante, ma dall’Ottocento in poi i marosi sono diventati cavalloni e lo Spirito, scalpitante, ha cominciato a spazzare i lidi di tutto il mondo, penetrando sempre più nell’entroterra. Dunque, Rumi, Ruysbroek, dune e nebbie rischiarate dai raggi del sole divino. Talvolta arse. Ma guai se il deserto cresce… Eppure, lì puoi incontrare Dio (e il Diavolo). Fermati a parlare con entrambi. E poi scegli!»

Arianna fu percorsa da un brivido. Agghiacciante, ma poi il fuoco del suo rovo ardente interiore (un cespuglio a cui non aveva fatto mai caso) la infiammò, senza bruciarla. Io sono quel che sono…

«Gioia interiore ed ebbrezza spirituale. Niente di diverso da una riunione di quasi cento anni fa ad Azusa Street, a Los Angeles – si era nel 1906 – o della Toronto Blessing degli anni ’90! Tappe fondamentali (che si sia pro e contro) dell’ultimo Risveglio. E dell’ultima pioggia. Quella che ci sta bagnando ora è, al confronto, quasi rugiada, ma quanto prima diventerà un acquazzone…»

Julim mimò l’apertura di un ombrello (e Arianna ebbe in contemporanea un flash della nonna salentina di Lorenzo. E della sua casa al mare, quando ad agosto le ‘sirene’ ioniche cominciavano a suonare. E di quando un giorno aprì il parapioggia nell’ingresso, prima di uscire: “Non lo fare, se no ci saranno sventure a terremoto.” Anzi ‘a tremalaterra’, come le piaceva dire, con il suo gentile accento cortese da Firenze del Sud).

«Continuità, quindi, nel modus vivendi pentecostale (e carismatico) dai tempi di Gesù a oggi, sia pure discontinua (l’ossimoro…), benché nelle chiese pentecostali ci si limiti a qualche ‘assaggio’ dal Risveglio dell’Ottocento, preferendo soffocare la memoria storica. Quasi che il revival pentecostale fosse sorto dal nulla (generazione spontanea!). Ma c’è pure qualche studioso serio in ambito pentecostale che, grazie a Dio, della continuità comincia ad accorgersi. Stanley Burgess (l’autore di un Dictionary of Pentecostal and Charismatic Movement) trova ‘tracce’ di ‘pentecostalismo’ persino in Tommaso d’Aquino! Fatto è che “...l’esperienza della Pentecoste e dei doni dello Spirito Santo, lungi dall’essersi fermata alla chiesa del Nuovo Testamento, ha percorso come un fiume sotterraneo tutta la coscienza collettiva del mondo, ora affievolendosi, ora celandosi, talora invece sgorgando impetuosa da polle superficiali, serbando tuttavia sempre viva la fiamma dello Spirito.” Sono parole mie, te le leggo dal mio articolo (una sua copia faceva da segnalibro). Ciò non toglie, comunque, che, quanto accaduto nel ventesimo secolo, è qualcosa di mai avvenuto in maniera così eclatante – e non solo in ambito cristiano – nella Storia umana: un cambio di paradigma ancor più vistoso di quello prospettato dalla New Age (quanto mai diversa dal pentecostalismo, eppure con più d’un punto di contatto…). Potremmo chiamarla Pentecost-Age…»

Julim continuava a ergersi ex cathedra, dimentico delle vacanze estive non ancora terminate (sia pure agli sgoccioli).

«E se parlo di esperienza spirituale decisiva, nel senso che porta a una de-cisione de-finitiva, non posso, quindi, che pensare al pentecostalismo, cavo teso tra Cattolicesimo e Protestantesimo: una fune al di sopra di un abisso... Rimanendo in tema nicciano, ma con ben altro spirito, potrei dire: “Io amo colui che non serba per sé una goccia di spirito, bensì vuol essere in tutto e per tutto lo spirito della sua virtù: in questo modo egli passa, come spirito, al di là del ponte.” Certo, che il pentecostalismo sia il movimento religioso più significativo del ventesimo secolo è ai più sconosciuto, almeno in Italia. Come ti ho detto i pentecostali, e qui includo anche i carismatici all’interno delle confessioni protestanti ed evangeliche di denominazione non pentecostale, sono oggi, all’inizio del Terzo Millennio, circa seicento milioni, a parte gli almeno trenta milioni di carismatici cattolici. Il dato ti può sorprendere, anche perché i mass-media non ne avevano mai, almeno fino a qualche anno fa, trattato diffusamente – e seriamente – sottovalutando il fenomeno, di cui, come sempre accade per quell’oscuro oggetto (del desiderio?) che è la religione. Ne ignoravano le reali dimensioni (non troverai mai tante castronerie sui giornali, ma anche sui libri, come quando si parla di ‘religione’…). E diciamolo pure, anche io, co-stretto nel mio giardino teologico, nel mio hortus conclusus, ignoravo la reale portata del pentecostalismo come fenomeno di massa. E la messa non è finita…»

Julim si fermò un attimo, volse lo sguardo al cielo, come per attingere nuove forze, poi al suono di un (eterico) gong ricominciò a scampanellare.

«Ero ancorato alle mie certezze di protestante liberal doc, ma ormai la mia certezza era tale da sfiorare il dubbio... E sì che i più raffinati tra i teologi (e loro pappagalli) non facevano altro che ripetere che la fede si alimenta dal dubbio. E in parte hanno ragione. All’inizio, in me, che pure ero, e sono, un intellettuale, la fede non faceva altro che vomitare i dubbi. C’era la tentazione bulimica di trans-gredire da un locus a un altro locus. Comunque, all’inizio, al contatto col pentecostalismo, invece che avvicinarmi più a Dio e alla Bibbia, passai per la fase anoressica del nichilismo nicciano…»

Arianna interruppe Julim e chiosò:

«Anch’io ho passato queste fasi: figlia di famiglia altoborghese radical chic, figlia dei fiori, anarco-esistenzialista, femminista, new-ager. Lorenzo, invece, per quel che mi ha detto e ho visto, borghesuccio, beatle, sessantottino, nazi-maoista. E terzaforzista col Mito dell’Europa, della Jeune Europe, passando per Romualdi e Freda (ahiahi!), poi la fase del cattolicesimo tradizionalista (alla monsignor Lefebvre, nel senso plenior: era anche andato a Parigi, per un’immersione full-time, nella chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, lì dove i suoi seguaci tenevano dei sit-in), quindi il passaggio new wave, sfiorando lo yuppismo, per poi svoltare, momentaneamente e a modo suo, a sinistra: quella femminista e terzomondista, dalle forti venature protestanti. Il tutto con un certo Calvinismo di fondo… E naturalmente, una bella spruzzatina di mistica. Sì, anche lui amava i mistici renani. Mi parlava sempre, citando dal suo amato Evola, dell’interiorità atona e gelidamente ardente di un Ruysbroek e di un Eckhart. Il pentecostalismo, coi suoi ossimori, è stato l’approdo finale, l’ultima spiaggia, ma, al di là, c’è ancora il mare... Lui è andato al largo (ma non troppo). Io sono rimasta sulla riva (ma coi piedi nell’acqua, in ammollo). Ma anche quest’ultima spiaggia, dopo un lungo cammino, non particolarmente faticoso a dire il vero, sembra ora troppo tranquilla; non solo per me, che sono stata solo lambita dalle ‘acque’ (e dalla lambada), ma anche per Lorenzo: sarà stato l’effetto di comunità pentecostali troppo istituzionalizzate, cattolicizzate, pervase da moralismi e legalismi geovizzanti…»

«Dio ci chiederà alla fine della nostra vita ragione delle occasioni di gioia e felicità umane che Lui ci ha offerto e che noi abbiamo disdegnato.» Arianna continuò «In ogni caso, quello che mi dava più noia, non in Lorenzo, ma nei suoi accoliti, era la barbara assenza di cultura, la fuga da ogni dibattito di buon livello, da ogni decisione pubblica su scelte etiche, e non solo. Occasioni, opportunità sprecate, gettate al vento, rifiutate, quasi fossero offerte diaboliche! È pur vero che l’informazione corrente (spesso anche quella più acculturata) dimostra gravi limiti (sovente vera e propria crassa ignoranza, talora malafede) proprio in campo religioso, ma questo non giustifica la docta ignorantia. Anzi, l’ignoranza sic et simpliciter.»

«In questo c’è la complicità, lo ‘zampino’. di gran parte dello stesso pentecostalismo...» Julim concordò, strizzando l’occhio ad Arianna (un po’ fuori luogo) «Comunque, lasciamo stare i ‘guasti’ di certo pentecostalismo, locale (di deriva cattolicheggiante, o simil-geovista, persino nel look) o di derivazione americana (il New Thought commisto a neo-puritanesimo in mezze maniche, cravatta e calzini corti – pure bianchi…). Parliamo di quello che il Pentecostalismo, nella sua essenza, può continuare a dare. Anzi, che deve iniziare a dare. È pur sempre una risorsa, un fiume sotterraneo sempre in vena (a parte i laghi e gli oceani). E poi, acque di sotto e acque di sopra… Non ti voglio qui rifare la cronistoria accurata delle radici e degli sviluppi del movimento, ma c’è, comunque, continuità ab origine (apostolica) del pentecostalismo, di questo fenomeno di massa che, se fino al ‘900 è sopravvissuto diluito nell’oceano cristiano, è poi passato, nell’arco di un solo secolo, dai nominali zero alle svariate centinaia di milioni di adesso. Niente di simile è mai avvenuto, in nessun campo dell’ampio ‘spettro’ umano, in cosi breve lasso di tempo! E questo giustifica il non sempre perfetto funzionamento della ‘macchina’. Il pentecostalismo, però, non nasce dal nulla. C’è un’’increspatura’ iniziale nel ‘brodo primordiale’ della cristianità da cui ha preso origine. E adesso sta bollendo… Per il filosofo Lacan “la religione è inaffondabile. La religione, soprattutto quella vera, ha risorse tali che non possiamo nemmeno immaginare”. E il pentecostalismo galleggia bene…»

«Ma non cammina sulle acque…» Arianna dette la stilettata finale.

Ormai nella stanza pioveva a dirotto. Julim schivò la sciabolata di Arianna e continuò a cavalcare l’onda (pentecostale).

«Ma non basta quello che ti ho detto (per inciso, condivido le tue affermazioni). Che il fenomeno sia ‘fenomenale’ se ne è accorto pure Cox, il teologo d’assalto della ‘nuova frontiera’ kennediana. Sì, Harvey Cox, il maggior rappresentante della Teologia della Secolarizzazione. Forse tu non lo conosci, ma è noto anche in ambito filosofico, specie con il suo “The Secular City. Secularization and Urbanization in Theological Perspective”, del ’65, uno dei testi più originali e brillanti della teologia (con riflessi nella filosofia e sociologia) del ‘900.»

«Ma qual è la sorpresa? – Julim anticipò, di un soffio, Arianna – Enorme: il Cox, nel ’95, ha pubblicato “Fire from Heaven: the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-first Century”. Ossia, Fuoco dal Cielo: il Sorgere della Spiritualità Pentecostale e il Rimodellarsi della Religione nel XXI Secolo. (Julim non sapeva – o se n’era dimenticato, preso dal fuoco consumante – che Arianna, thanks to mama Courtney, era bilingue – anzi, per motivi tangenti e contingenti, bazzicava un po’ di francese, spagnolo e, manco a dirlo, portoghese in versione carioca.) Un vero e proprio tributo al pentecostalismo, quanto quello degli anni ’60 era stato, in un certo senso, l’esatto opposto. Basti dare la scorsa a un paio di citazioni dalla Città Secolare: “Come dice Bonhoeffer, Dio, in Gesù, vuol insegnare all’uomo a fare a meno di Lui, a diventare adulto, libero da dipendenze infantili, pienamente umano”; o ancora: “... la parola ‘Dio’ dovrà morire, confermando così il giudizio apocalittico di Nietzsche, secondo cui ‘Dio è morto’.’’ Quale (positiva) sorpresa, quindi, scoprire l’ultimo Cox che parla del pentecostalismo come di: “fuoco spirituale che ha infiammato tutto il mondo, toccando centinaia di milioni di persone col suo calore e la sua potenza.” Di più: “un uragano spirituale che ha già toccato quasi mezzo miliardo di persone, una visione alternativa del futuro dell’umanità il cui impatto è, ancora e solo, ai primi stadi.Wow… (ripeto l’esclamazione di giubilo di un commentatore pentecostale americano) – ti cito sempre dal mio articolo – i pentecostali possono esultare: hanno ricevuto il riconoscimento ufficiale, non solo di Dio (il che è, indubbiamente, più importante) ma anche dell’’alta teologia’ (il che non è male...).»

Julim parlava come se Arianna fosse una cristiana ‘rinata’ (ma lei era ancora al sesto mese…).

«Interessanti poi le osservazioni di Cox (che, peraltro, non si definisce pentecostale: è, infatti, battista), quando parla del pentecostalismo come della spiritualità ‘primaria’, originaria, o allorché riconosce nel ‘parlare in lingue’ la “trasformazione, per l’amore di Dio, del linguaggio umano, inadeguato e corrotto, in una lingua di angeli.” Ma non si ferma qui il nostro, parla apertamente dell’esperienza pentecostale come di un “incontro ‘speciale’ con lo Spirito Santo”. I pentecostali, e non solo, non possono che gioire di questo e riconoscere che anche nei cuori ‘duri’ degli uomini di cultura cominciano a manifestarsi crepe sotto i ‘fendenti’ dello Spirito. D’altronde, anche un altro teologo di ‘frontiera’, l’ancor più noto Paul Tillich (nient’affatto pentecostale), non diceva forse che “fuori della fede non ci può essere speranza né salvezza vera”? E che “la Presenza spirituale – lo Spirito Santo – vivifica perennemente la vita”? Quel Tillich che, dulcis in fundo, con profonda cognizione di causa, osservava: “Dio risponde all’uomo in base alla sua domanda e la domanda dell’uomo è condizionata dall’aspettativa della risposta da parte di Dio.” Questo è il noto ‘principio di correlazione’ di Tillich. Come dire: l’uomo, se è fiducioso della risposta di Dio, pone il Signore nelle condizioni (in un certo senso) di rispondere affermativamente. È un principio-guida, forte (e discusso), del pentecostalismo più radicale (in cui la fede è certezza assoluta), ma vicinissimo (ci risiamo) a tanti esiti della mistica medievale (Eckhart, uno per tutti) e post-rinascimentale (Angelo Silesio).»

(Silesio. Angelo sì, ma Tomás le aveva porto il volto luciferino…)

«Un’ultima ‘provocazione’: Cox ribadisce (cosa che molti pentecostali hanno dimenticato...) che: “il Pentecostalismo rappresenta una montagna che guarda dall’alto i confini delle singole denominazioni.” E, aggiungo io, non solo la spiritualità pentecostale trascende questi limiti umani (troppo umani...), ma supera le grette separazioni (sottomissioni, in definitiva) di genere, di razza, di classe sociale, vanamente giustificate da parziali, miopi e strabiche letture bibliche. E infatti, come adempimento della profezia di Gioele e di Atti 2,17-18 (“...spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno...”), nella chiesa ‘primitiva’ di Azusa Street, a Los Angeles (in questo caso, città degli ‘angeli guida’, non più dei lost angels), c’era, sintetizzato, il fior fiore dell’oecumene cristiana. E non solo fedeli provenienti da varie confessioni e denominazioni, ma tra i dodici della ‘dirigenza’ spirituale (e materiale) c’erano sette donne e tre neri (un’assurdità per quei tempi; e oggi?). Una chiesa ecumenica (e democratica) ante litteram!»

Il risvolto black e woman sbloccò definitivamente Arianna. Ruppe le barriere, transgender. E Julim diede l’ultima pennellata alla tela. Alla Basquiat.

«Ma dobbiamo andare oltre, trasgredire le frontiere… E riempire di graffiti i muri bianchi, o grigi, del cristianesimo. La mission? Fare dell’Era Pentecostale l’età dell’oro tanto agognata da ogni dove, e in ogni ora. L’Età dello Spirito Santo, l’auspicio profetico di Gioacchino da Fiore. L’Era Pentecostale, la Pentecostage. Meno Kali Yuga più Orso Yoghi…»

La testa pelosa di Julim (dalla folta chioma riccioluta) rispuntò a fior d’acqua dopo il mal riuscito tuffo a pesce. Dopo il piranha, il pesce-pilota.

«Diamo tutto lo spazio alla libertà dello spirito, ma non trascuriamo la ‘carne’. Carne e sangue non erediteranno il regno dei Cieli, perché è qui, sulla terra, e della terra, che debbono ‘acquisire’ la proprietà! Se Dio ha dato a un uomo ricchezze e tesori, e gli ha dato potere di goderne, di prenderne la sua parte e gioire della sua fatica, è questo un dono di Dio! Se possiamo forse ritrovare motivi di tipo sciamanico nel pentecostalismo, tanto che in alcuni suoi aspetti le ‘manifestazioni’ pentecostali e carismatiche – una sorta di ‘misticismo pratico-estatico-democratico’ – potrebbero essere definite “rivalutazioni di antichi motivi sciamanici, integrati in un sistema di teologia ascetica dove il loro contenuto ha subito una radicale modificazione” (Mircea Eliade sostiene questo riguardo a riti di tipo sciamanico rinvenibili in molte culture e religioni), dobbiamo, in ogni caso, rivalutare e rivendicare l’appartenenza alla terra. Occorre rifondare il cristianesimo: a te, Arianna, tocca un ruolo di primo piano, da primadonna. Non da velina, eppure toglierai i veli… Profana, fuori dal tempio, ma nel tempo. Nel mondo, fuori dalla religione, ma col fuoco rubato al cielo. I violenti s’impadroniscono… Morte di Dio come morte dell’immagine tradizionale di dio e della religione. Eppure, se non siamo fatti da Dio, siamo fatti di Dio… (o siamo solo ‘fatti’, avrebbe pensato Arianna in altri tempi). Ma tu andrai oltre Nietzsche, porterai una speranza nuova, veramente nuova. Terra e Cielo si ameranno senza più nascondersi, alla luce del sole. Dio è morto come Dio statico, ma è vivo come Dio dialettico, dinamico, dionisiaco (ma pur sempre apollineo). Le virtù pagane trasfuse e trasfigurate dalle virtù cristiane… (parlava proprio come Lorenzo quando il suo vecchio Odino s’incontrava col pischello Gesù – ‘pesce pilota’). Ed è stato proprio Gesù Cristo, sceso dal trono per prendere il treno della vita, ad annunziare, con la sua morte (e la sua vita – uso qui la minuscola per rafforzare il concetto), la morte di Dio – riprendo concetti di Altizer e degli altri teologi della morte di Dio. Ma ci ha lasciato, in cambio, lo Spirito, la dinamica della nuova vita. Il futuro prossimo, alla Gioacchino da Fiore (fior da fiore), vedrà il profano confluire nel sacro e il sacro nel profano. Cielo e terra si abbracceranno, non saranno più ostili.»

Julim la guardò intensamente, con uno sguardo lievemente corrucciato, poi scoppiò a ridere.

«Stammi ad ascoltare, buttati sui libri, scegliti i maestri che vuoi, ma stattene a debita distanza…»

Arianna allora comprese. Tomás e Julim si erano congiunti, baciati, abbracciati. Ai due, l’imperfezione (malgré Julim), si era aggiunto Lorenzo, il primo. Il triangolo si era formato, aperto allo spazio. Il messaggio era confermato: lei era predestinata.